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Umberto Saba, prosatore sconosciuto

di Serena Agresti / 6 ottobre

È nella storia di una famiglia disunita, nel contrasto di razze, che lo stesso Umberto Saba vede la chiave del proprio destino, la sua diversità: Ugo Edoardo Poli, il padre di Saba, fuggì, abbandonando la moglie incinta. Felicita Rachele Coen, la madre, visse tormentata dal ricordo dell’umiliazione subita, costantemente rinnovata dalla presenza di un figlio da crescere.

«Tutta la nostra struttura psichica», scrive Saba, «è modellata sulla nostra infanzia e quindi sui rapporti coi genitori». L’identità di Saba risulterà sempre franta – «un cuore in due scisso» – due diversi atteggiamenti manifesti nella realtà: da un lato il bisogno di appartenenza, di adesione alla vita, amare le cose quali esse sono, riuscire ad attingere dal proprio cuore tanto amore quanto basta da trovare bello «anche l’uomo e il suo male». E dall’altro un senso di distacco, di chi non riesce a inserirsi nel ritmo della vita, perché Saba sente come una condanna l’unicità del suo sguardo. È indipendente dalle influenze circostanti e lo riscontrerà immediatamente, quando ventiduenne, a Firenze, frequenta il circolo letterario della rivista La Voce. Quest’esperienza conferma la sua estraneità al gusto, alle tendenze intellettuali allora in voga.

Saba nacque a Trieste nel 1883, città di mare, di cultura, di commercio, con un’identità plurale, dove italiani, slavi, austriaci, tedeschi, greci, turchi, ungheresi, ebrei, convivono gli uni con gli altri, senza, tuttavia, fondersi. Secondo Saba, questa molteplicità, questo miscuglio di “sangui diversi”, comporta instabilità nella formazione delle identità individuali, favorendo lo sviluppo di caratteri introversi, nevrastenici, con tendenze auto-punitive. Tuttavia, le parole che egli dedica alla sua città rivelano il profondo legame col luogo natio perché: «Trieste ha una scontrosa grazia», è come un «ragazzaccio aspro e vorace» che «ha mani troppo grandi per regalare un fiore», ma ha anche «il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva». Mentre nel resto d’Italia irrompono i miti e i modi dannunziani e il Futurismo impressiona col suo programma negativo di rivoluzione distruttiva, Trieste è ancora una città romantica. Questo potrebbe sembrare uno svantaggio per la formazione culturale di Saba, invece, nascere in quest’ambiente, gli concesse la scelta istintiva dei maestri, degli autori da leggere e conoscere: «L’igiene dell’anima» per trovare una fisionomia e un linguaggio propri, e da quell’isolamento culturale trarre la sua originalità che dimostra già nel Canzoniere, «poesia d’istinto, ma di un istinto troppo complesso per il pubblico ordinario dei nostri poeti», per i critici che troppo a lungo hanno ignorato il suo modernissimo scrivere classico lasciato senza riserve all’esplorazione del mondo.

Umberto Saba, il cui nome oggi viene associato, quasi esclusivamente, alla famosa poesia “La capra”è considerato un “minore”. Invece si dovrebbe leggere, rileggere e studiare. E questo non solo per la poesia ma anche per la sua produzione in prosa, per la geniale invenzione di Storia e cronistoria del Canzoniere, per l’ardita scommessa rappresentata da Ernesto, ma soprattutto per Scorciatoie e Raccontini, edito da Mondadori nel 1946 e recentemente ristampato da Einaudi. È un’opera nata da anni di osservazione e riflessione, sotto il segno dell’esperienza psicanalitica che gli ha permesso di rinascere e posare il suo sguardo su piccoli indizi, fratture di senso che hanno carpito la sua attenzione, sorta di aforismi in cui Saba avanza diagnosi coraggiose e sorprendenti, dimostrando profonda lucidità intellettuale e indiscussa sensibilità. Il libro si apre con la scorciatoia 1 che enuncia, quasi programmaticamente, quello che sarà l’andamento stilistico e dice:

«GRAFIA DI SCORCIATOIE. Sono piene di parentesi, di “fra lineette”, di “fra virgolette”, di parole sottolineate nel manoscritto e che devono essere stampate in corsivo, di parole in maiuscolo, di “tre puntini”, di segni esclamativi e di domanda. Che il proto prima, e il lettore poi, mi perdonino».

Risulta, quasi, un suggerimento per il lettore che potrebbe sentirsi disorientato dinanzi a un testo così moderno, unico nel suo genere nella tradizione italiana che presenta mutamenti continui di grafia, tono e argomento. Inoltre, è evidentemente sottolineata la gestione della punteggiatura, così intensa ed efficace che ha valore contenutistico oltre che formale, sopperisce laddove qualcosa è stato taciuto, dice il non detto e comunica le emozioni di chi scrive e Saba ce ne dà conferma, quando afferma che «l’arte nasce attraverso la forma; vive, e muore, per il contenuto».

È innegabile che la scelta dell’aforisma, come espressione stilistica, risalga alle letture nietzschiane, che presentavano, appunto, frammenti più o meno lunghi, numerati progressivamente e spesso preceduti da una frase lapidaria come titolo. Esattamente come le scorciatoie di Saba, e che d’altronde si prestano alla “caccia grossa”, come diceva Nietzsche, oltrepassando i valori di facciata dell’ottusa mentalità borghese, con un coraggioso lavoro di scavo nella realtà, poiché «la scrittura aforistica è come “una semina del linguaggio” che porta a piccoli grani di verità»e stimola il lettore ricettivo alla libertà di pensiero, senza dilungarsi, senza indugiare e senza nascondersi.È comunque opportuno chiarire che il Nietzsche di Saba è il precursore delle scoperte freudiane, che rivolge la sua attenzione alla conquista di verità, sottoponendo la realtà, la cultura, l’uomo a un’indagine inesorabile e inclemente, questo è il Nietzsche di Umano troppo umano, di Aurora e di Gaia scienza, dove la scrittura frammentaria subentra alla forma del saggio e dove Nietzsche intuisce profeticamente la crisi della civiltà europea e smaschera le illusioni dell’umanità condannando la morale comune. Ma è anche «un maestro affermativo di vita» che suggerisce di lasciarsi dietro le «tristezze immedicabili» per godere delle «poche gocce d’oro che cadono sulla nostra lingua». Lontanissimo, dunque, dagli equivoci superomistici e dalle interpretazioni della volontà di potenza volte al nazionalismo e agli atteggiamenti antidemocratici. I contenuti di questi aforismi non sono altro che umane reazioni di speranza e dolore, l’impegno a cercar di capire le azioni degli uomini e i fatti del mondo. Saba spazia tenendo i fili di un’opera eterogenea, muovendo dalla conoscenza consapevole della realtà al ruolo dell’arte nel mondo, dai fatti storici e politici con i loro protagonisti a quelli della cultura e della letteratura e ai fenomeni di massa che coinvolgono la società, ad esempio il cinema, i libri gialli, che a Saba ricordano «le interminabili avventure dei cavalieri erranti» solo che «al posto del cavaliere è stato messo il poliziotto». E continua articolando, in brevissimo spazio, un’analisi socioculturale per cui la nascita delle attività è indissolubilmente legata al luogo, al periodo, ai fattori climatici, e quasi accidentalmente, innesta qua e là, fulminei dubbi e sentenze di natura psicanalitica.

In Scorciatoie e raccontini Saba affonta la complessità della realtà in tutte le sue articolazioni, il suo sguardo attento si ferma sull’umanità di tutti i giorni per poi passare ai fatti sconvolgenti della storia umana. A conferma di ciò la sua affermazione per cui «il colore del tempo non è dato solo dai grandi avvenimenti, cosiddetti storici. Una persona accorta lo trova, senza cercarlo, nei piccoli indizi della vita quotidiana». Ecco dunque, la tipica attenzione di Saba al piccolo elemento che costituisce l’indizio rilevatore di situazioni storiche più estese e che rappresenta il suo modus operandi.

Scrivendo Scorciatoie e raccontini, Saba dimostra di essere un autore contemporaneo e conscio di occuparsi di pensieri che non potevano essere capiti se non dai posteri. Ferito dal mancato riscontro, scriverà a Eugenio Montale che la maggioranza dei suoi lettori o erano morti nel secolo scorso o dovevano ancora nascere. Furono vendute appena duecento copie di un’opera degna, più di altre, di essere studiata e trasmessa.

Auguriamoci che a favore del grande ingegno di Saba ci possa essere, oggi, maggiore fortuna.