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“Senza niente” di Flavio Cortellazzi

di Matteo Chiavarone / 11 ottobre

Teatro che non è teatro ma che è teatro a tutti gli effetti. Spente le luci – anzi no perché il faro centrale che illumina il palco attraversa, dalle retrovie, tutta la piccola sala del Teatro Uno – l’attore rimane da solo e sancisce la sua presenza con la voce (ora acuta, ora bassa), con gli occhi (sgranati, divertiti, allucinanti) e con i gesti (leggiadri, pesanti, innaturali). Teatro che è teatro perché c’è qualcuno che parla, che recita, che attrae l’attenzione su di sé. Ma manca tutto il resto, e per una volta è un bene. Mancano altri attori in primis, e mancano le luci, i colori, gli effetti scenici, i costumi, le musiche, gli oggetti di scena.

Il teatro è l’attore e l’attore è senza niente, come ci ricorda il titolo. Un nome però ce l’ha: Alessandro Pezzali. E anche un progetto, quello del Teatro Magro di Mantova.

E qual è l’obiettivo? Dove ci stanno conducendo?

Stiamo assistendo a una seria, serissima, decomposizione dell’afflato teatrale. Anzi no: quella che abbiamo davanti agli occhi è una grandissima presa per i fondelli. Satira sottile e affilata contro un potere che non è potere, o meglio lo è ma soltanto in scena. Ma non solo: i vari “teatri” – intesi non come luogo fisico ma come “genere” – rappresentano al tempo stesso espressione peculiare e universale. Sub generis c’è moltissimo, c’è un’Italia viziata di cecità, di tradizione, di politica.

Quel che rimane sono degli stereotipi che diventano archetipi: ridiamoci su ma le catene, sebbene piccole, ci sono e ci trattengono (loro sulla scena, noi nel commentarli). L’attore parla di se stesso, del suo mondo e ride, urla, sbraita. Materia del riso è la tragedia come il circo, il teatro di strada come quello parrocchiale, il teatro-danza e quello politico, la commedia e i burattini, l’avanguardia e il classicismo. E poi ancora molto altro. Attore come poeta, come aedo: non vede ma vede benissimo e si separa da tutto, si spoglia da tutto, si allontana da tutto.

Poi però scende tra la gente, torna a vederci e lascia il posto a Lei, l’altra, la brava Marina Visentini, a cui va la luce del faretto e il nostro sguardo. Lei non è il teatro ma è il reale: il secondo monologo non parla di scene ma di scena, della scena. La società che ci ingloba e ci investe e ci offre la sua idea di mondo e di cultura. Lei, l’attrice, è un presidente, anzi la presidentessa: colei che decide. Non si estroflette su se stessa, sulla sua coscienza e subcoscienza: racconta e riproduce la frenesia, sommerge e riemerge dalla vita quotidiana, da incessanti e frivoli dialoghi virtuali.

Verità, falsità e soprattutto un grandissimo menefreghismo: non importa da che parte stiamo andando, l’importante è andare. Ma nel cammino i danni sono tanti e si vedono: nell’assente programmazione culturale di un paese, nel frivolo voler apparire di artisti non pronti al sacrificio, nell’incapacità di cogliere le vere innovazioni.

Uno più uno, attore più presidentessa, il risultato è sempre lo stesso: c’è bisogno di una nuova forma, di una nuova scena, di una nuova realtà che poi non è altro che una nuova identità. Dell’attore, dell’artista, dell’addetto ai lavori prima, di noi tutti – cittadini di un mondo che ci cambia velocemente sotto i piedi – poi.


Senza niente
regia di Flavio Cortellazzi
monologhi di Alessandro Pezzali e Marina Visentini

Andato in scena presso il Teatro Studio Uno di Roma dal 5 al 7 ottobre 2012.