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Cinema

“E la chiamano estate” di Paolo Franchi

di Francesco Vannutelli / 23 novembre

Esce in sala E la chiamano estate di Paolo Franchi dopo le polemiche recentissime al Film Festival di Roma in cui il film si è aggiudicato, tra le contestazioni, il premio per la miglior regia e quello per la migliore attrice protagonista per Isabella Ferrari.

L’uscita del film ha rischiato di essere rinviata a causa di una controversia legale sorta con la vedova di Bruno Martino, compositore scomparso nel 2000, autore del brano da cui il film prende il titolo, che ha ritenuto offensivo l’utilizzo del nome di un’opera del marito per un film a suo dire scabroso. La signora Martino però ha poi deciso di non agire più per vie legali e quindi la pellicola è stata regolarmente distribuita in quaranta copie con un divieto di visione per i minori di anni 14.

Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari), una coppia di quarantenni apparentemente felici nel loro grande amore. C’è qualcosa però che non torna, un’incapacità della coppia di essere completa. Dino non è in grado di fare l’amore con sua moglie. Alcuni anni prima la drammatica morte per suicidio del fratello, a cui era molto legato, lo ha reso incapace di manifestare fisicamente i propri sentimenti. Ama Anna ma non può farci l’amore. Per lui amore e sesso sono due mondi distanti, intangibili. Per questo sfoga i suoi istinti in frequentazioni sessuali sordide con scambisti e prostitute sfregiate. Lontano dalla sua donna Dino riesce a sfogare la carne, ma si tratta appunto solo di uno sfogo, un’emorragia di sudore che lo lascia con un vuoto crescente e un senso di colpa verso Anna. Lui vorrebbe soddisfarla, ma non può. Non ha il coraggio di affrontare un percorso di psicanalisi che lo costringerebbe ad affrontare il passato. Cerca da solo una soluzione al problema, inizia a rintracciare i passati amori di Anna, gliene offre il corpo, li implora di fare sesso con lei, sprona la moglie a cercarsi un amante. Anna ama Dino di un amore che non ha bisogno di fisicità. Lei è felice con lui così com’è. Si chiede come sarebbe un amore diverso con lui, però è convinta che non sarebbe migliore di quello che hanno. Ma la frustrazione di Dino li spinge sempre più lontani e quando lei si lascia sedurre da un giovane spasimante è già troppo tardi perché la loro storia si possa salvare.

Lento. Algido. Ripetitivo. Estenuante. Questi i primi aggettivi che vengono in mente una volta usciti di sala. Sarà per la struttura narrativa fatta a sequenze mescolate non in ordine cronologico. Sarà per la fotografia abbacinantemente sovraesposta sui toni di bianco di Cesare Accetta e Enzo Carpineta. Sarà che Dino non fa altro che accoppiarsi con sconosciute, giacere sul letto con la moglie, inseguire i suoi ex. Sarà che tutto sommato non succede nulla che possa sorprendere lo spettatore per tutti i novanta minuti di film. Sarà che il finale è chiaro, se non dalla prima, dalla seconda scena. Sarà che le riprese iperrealiste, che quasi spiano la vita della coppia, rendono tutto distante, asettico, privo di emozioni. Sarà che le voci off che commentano foto e illustranoex post la storia di Dino e Anna non aggiungono nulla. Sarà che anche se si prova a fermarsi e a cercare un eventuale senso più profondo del film non ci si riesce. Forse vuole essere un’indagine sulla coppia moderna, un’analisi del ruolo del maschio, dell’impossibilità di un amore che non sia passione, delle frustrazioni dell’impotenza, forse tutte queste cose insieme. Ma non ci riesce.

Mira in alto, Franchi, ma fallisce il tiro. Guarda ad Antonioni, a Moravia (Dino è il nome anche del protagonista de La Noia; la canzone di Rita Pavone, “Che mi importa del mondo”, era già stata usata proprio nella trasposizione del romanzo fatta da Damiani nel ’63), all’Origine du monde di Courbet nel primo piano in penombra di Isabella Ferrari in apertura di film. Ma sono tutti colpi a vuoto.

E la chiamano estate è un film lontano anni luce dal pubblico, che non sa sfruttare a pieno un buon soggetto, sviluppato dallo stesso regista, per inseguire un manierismo espositivo che non colpisce, se non in maniera negativa. E quando poi ci si ferma a pensare di nuovo al film, dopo averne assimilato i testi e i sottotesti, vengono in mente quattro aggettivi per descriverlo che sono già noti. Lento. Algido. Ripetitivo. Estenuante.


(E la chiamano estate, regia di Paolo Franchi, 2012, drammatico, 89’)