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Intervista a Romana Petri, nelle librerie con “Ti spiego”

di Matteo Chiavarone / 25 luglio

 

Abbiamo intervistato Romana Petri che torna nelle librerie con "Ti spiego" (Cavallo di Ferro) dopo il grande successo di "Ovunque io sia". Un libro suggestivo ed intenso che parla di ieri e di oggi. Uno squarcio di vita vissuta e una riflessione di una delle migliori voci femminili della nostra letteratura.

Ciao Romana, grazie dell’intervista. Parliamo del tuo ultimo libro. Anni settanta, una generazione, una storia di coppia. Qual è il filo che unisce tutto questo?

La difficoltà del condividere la propria vita con quella di un’altra persona. La consapevolezza che si finisce per conoscersi meglio solo quando ci si lascia e non c’è più quello schermo di protezione che a quasi tutte le coppie sembra necessario usare fino a che si sta insieme. E poi c’è anche una certa ribellione nei confronti dell’ipocrisia. In fondo, il vero filo conduttore di questo romanzo è la perdita di innocenza che sempre avviene tra due persone quando non sanno accompagnarsi con dignità e rispetto.

Sullo sfondo c’è però il presente. E c’è tanta amarezza. Ideali che si sono affievoliti. E anche molta solitudine. Cos’è che spinge a guardare indietro?

Il presente. Se non ti guardi indietro non riesci a capirlo, ma bisogna farlo con un animo abbastanza liberato, senza il rimpianto o la nostalgia, due atteggiamenti che fanno invecchiare prima a male. Siamo portati a dimenticare per sopravvivere, è cosa sana e giusta, ma ogni tanto bisogna fare lo sforzo di riprendere da un laggiù che ci ha fatto stare male, cercare non di ricomporlo (sarebbe un atteggiamento malato) ma di comprenderlo, soprattutto di assolverlo. In fondo, alla fine del romanzo, Cristiana assolve tutto e tutti. Però lo fa con ironia, con il sorriso sulle labbra di chi ne esce comunque con la vittoria in mano.

Un uomo e una donna. Due viaggi, speculari tra loro. Legati da uno sport, il pugilato. Perché questa scelta?

Quale collocazione migliore per una coppia che si è fatta tanto del male se non il ring? Un uomo e una donna sono due corpi  e due anime che si affrontano. E sul ring ci salgono per chiudere la partita, ci salgono dopo 15 anni di divorzio, quando finalmente decidono di mettere le carte in tavola e andare fino in fondo per poi riprendere, ognuno per conto suo, la propria vita. Per entrambi sarà una vita diversa, hanno rotto il silenzio dandosele di santa ragione, ci sarà un vincitore e un perdente, ma almeno sarà tutto chiaro, una volta per tutte.

Cos’è il pugilato per te? C’è qualche riferimento letterario?

Letteratura e cinema traboccano di pugilato. E poi un po’ di pugilato l’ho fatto io stessa. Mi è piaciuto moltissimo, questo sport è la mia passione fin da quando ero bambina. È il mio lato londoniano,  il mio grande bisogno di epica. Perché niente, per me,  è più epico di questo sport.

Dalle tue pagine mi sembra che ci siano due elementi: la nostalgia e un bisogno di ideali o di eroi? Quale tra i due è prevalente?

Nostalgia no, non fa nemmeno parte della mia natura, almeno non troppo. Degli eroi dobbiamo farne a meno per forza, ma in letteratura possiamo ancora permetterci questo lusso. In fondo, fin dai primordi, non si è forse cominciato a scrivere solo per questo, per costruire eroi che poi, nella realtà, non esistono? E fin da subito non si sono limitati ad essere eroi, sono sempre stati super eroi.

Progetti per il futuro?

Ho finito di scrivere un romanzo che si chiama “Tutta la vita”. Dopo una storia di amore così relativo un po’ di amore inossidabile. È la storia di due emigranti italiano che dopo la Seconda Guerra Mondiale se ne vanno in Argentina. Una storia dolce, ma anche molto violenta, dove la violenza, però, sta tutta nella vita, non nell’amore.

Ti va di consigliare un o più libri ai lettori di Flanerí?

L’Ulisse di James Joyce. Non lo legge più nessuno ed è un grande peccato perché c’è molto da imparare. In “Ti spiego” ne ho inserite parecchie citazioni, ma non c’è stata una sola persona ad accorgersene.

Grazie della disponibilità. A presto.