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“Apnea”: a tu per tu con Lorenzo Amurri

di Giorgia Lombardo / 20 luglio

Apnea (Fandango, 2013) è il romanzo d’esordio di Lorenzo Amurri: una storia dolorosamente autobiografica, un percorso di disperazione e rinascita, e in ultimo un caso letterario, selezionato tra i dodici finalisti del Premio Strega di quest’anno.

Lo scorso 25 giugno abbiamo incontrato l’autore presso la libreria Arion di Testaccio, in occasione della presentazione del romanzo, avendo così l’opportunità di farci raccontare la genesi di Apnea, e non solo.

Apnea non è soltanto un romanzo ma è la storia della tua vita, dolorosa ed emozionante. Perché scriverne in modo da rendere pubblico tutto questo dolore? Perché volerlo condividere con gli altri?

Probabilmente era un’urgenza che avevo inconscia. Avevo scritto in realtà dei racconti e molti erano su questo tema e una mia amica scrittrice, alla quale mandavo questi racconti, mi ha ordinato di metterli in un romanzo perché era un materiale bellissimo e non potevo sprecarlo in dei racconti. Quindi in realtà all’inizio sono stato spinto, ma poi quando ho cominciato mi sono reso conto che avevo proprio bisogno di raccontare tutto, non solo per me, ma anche per stimolare gli altri su quello che succede. Nessuno sa bene quello che prova una persona che ha avuto un incidente, che si ritrova paralizzato e quello che c’è dietro alla carrozzina. La carrozzina diventa il premio che tu ricevi per continuare a vivere. Volevo un po’ raccontare tutto questo e volevo rivolgermi all’altra protagonista del libro che è la mia fidanzata di quel tempo che è stata molto coraggiosa, mi è stata vicino. Molte cose rimangono per aria e non si dicono per tanti anni, e quindi forse era anche venuto il momento di dirle determinate cose rimaste non dette.

Ciò che più colpisce nel tuo racconto è la schiettezza. Tutto raccontato senza nessuna finzione. Sembra di toccare con mano tutto quel dolore e soprattutto i sentimenti che subentrano in situazioni simili. Non è un romanzo, è un racconto di una parte molto importante e dolorosa della tua vita. Quanto è stato difficile rimanere ancorati alla pura verità senza dover trovare fronzoli da aggiungere?

È stato terapeutico da una parte, perché evidentemente avevo bisogno di tirare fuori queste cose, e dall’altra è stato molto difficile, perché è doloroso mettere nero su bianco dei ricordi che per tanto tempo erano rimasti nella mia testa. Mi dovevo fermare di capitolo in capitolo per metabolizzare quello che avevo scritto per poi continuare. La scelta di voler raccontare i particolari crudi della verità è stata una cosa che non ho avuto difficoltà a fare. Un po’ perché non ho alcun senso del pudore, quindi non mi interessa nascondere nulla e poi perché era giusto farlo. Quello non è stato difficile, è stato abbastanza naturale. È scritto in un modo che volutamente vuol fare entrare subito in contatto la persona che legge con ciò che succede. La vera conquista è stata far sentire al lettore ciò che si prova sulla propria pelle.

La morte. Si capisce presto che tutta questa sofferenza è troppo pesanteda sopportare. Resta solo da immaginare di farla finita sebbene, date le circostanze, anche questo risulti complesso,  alla fine un modo lo trovi. Perché però si torna indietro? Era importante semplicemente scoprire di poterlo fare da solo?

Esattamente. Qual era l’urgenza? Il fatto di dover essere aiutato per il 90% delle cose di tutti i giorni mi dava molto fastidio a quel tempo. Se davvero avessi voluto chiudere e non continuare a vivere, l’avrei voluto fare in completa autonomia, cosa che per un paraplegico non è facile. In una clinica in Svizzera ho provato a chiedere aiuto a un infermiere, ma ovviamente lui non sta lì per ammazzarti e anzi, giocava molto su questa cosa del suicidio.
L’aver trovato infine il modo di farlo mi ha dato la possibilità di capire che in realtà non avevo per niente voglia di morire, anzi, forse mi ha aperto gli occhi su ciò di positivo ancora esisteva. Probabilmente è stato il momento di svolta.


L’amore. Al tuo fianco c’è stata una donna molto forte che ha capitoquando rimanere ma che è stata coraggiosa ad andare via quando era necessario. Quanto devi a lei?

Le devo moltissimo. Anche se sei tu che decidi, a un certo punto, quando è arrivato il momento di risvegliarsi e di continuare a vivere, è vero che hai tante persone intorno che provano ad aiutarti. Nessuno può entrare nel tuo dolore finché tu non decidi di farlo entrare, possono fare quello che vogliono, ma è impossibile che ci riescano. Il primo ad aprire la porta sei tu, poi puoi ricevere l’aiuto che vuoi.
Lei, nonostante questo, mi è rimasta sempre accanto, ha fatto di tutto per aiutarmi. Apnea è scritto anche per lei e per tutto quello che ha fatto.

La famiglia. Non si è mai pronti ad affrontare una situazione come quellache è capitata a te. La tua famiglia ha provato, sbagliando e facendo bene, a supportarti. Li hai descritti con molta umanità, con limiti e pregi. Cosa hanno detto dopo aver letto il tuo racconto?

Mia sorella mi ha detto che avrei potuto essere un po’ più buono, ma in realtà sono stati contenti perché ho espresso il mio punto di vista aprendogli un mondo, perché loro sicuramente non avevano capito niente di quello che io stavo provando in quei momenti. Non li ho descritti così male in realtà, forse giusto con mia madre sono stato un po’ cattivo, ma li ho descritti come li vedevo in quel momento. E la verità vince sempre.

Quali sono i tuoi riferimenti letterari?

Tanti, il mio scrittore preferito è John Fante. Sono molto legato a una certa letteratura americana che è quella di Carver, Lethem, Foster Wallace, ma anche tutta la Beat Generation, o Calvino e Kafka. Kafka mi ha stimolato molto perché sapeva entrare subito nel particolare più crudo e cinico. Poi Andrew Davidson con Gargoyle, che ho letto poco prima di iniziare a scrivere il mio romanzo: il protagonista ha un incidente stradale, la macchina prende fuoco e lui si ustiona. Viene raccontato nei minimi particolari il corpo ustionato dentro la macchina, che entra in contatto con la plastica che si scioglie, in un modo che senti anche tu le bruciature sul corpo. Prima di vedere la sua foto pensavo che l’autore fosse un ustionato, invece no. Era tutto immaginato. Evidentemente, deve aver studiato l’argomento ed ha scritto un romanzo in un modo tale che veramente il lettore riesce a sentire ciò che legge. Mi sono detto che anche io dovevo riuscire a fare quello che aveva fatto lui.

Che fossi un artista era chiaro dalla tua musica, ma cosa hai provatoriscoprendoti portatore di un’altra arte? Quali sono adesso i tuoi progetti futuri?

Ho scoperto un nuovo modo per comunicare e per esprimermi che mi calza a pennello perché non devo essere aiutato da nessuno a farlo ed è molto vicino a quello che facevo prima, tra l’altro. Mi mancherà sempre poter suonare uno strumento, quella era la mia vera passione. Però è chiaro che la scrittura adesso è diventata la cosa principale e ora che riuscirò ad andarmene in vacanza mi metterò di nuovo al lavoro. Mi devo ancora cimentare nella scrittura di testi musicali, devo vedere se sono capace a farlo: è un altro tipo di scrittura, che si avvicina molto di più alla poesia, è la sintesi vera, molto difficile rispetto all’ampio respiro consentito dal romanzo.

Chiudiamo con una curiosità: ho letto da qualche parte il personaggio di Lorenzo interpretato da Corrado Guzzanti è ispirato a te, è vero?

Sì, ero io in un momento della mia vita un po’ particolare, però era la verità. Era caricaturale chiaramente, ma in quel periodo era tragicamente vicino alla realtà. Vivevo a New York all’epoca, e Corrado mi telefonava e mi faceva la mia imitazione al telefono. Mi divertiva molto, Corrado e mia sorella Valentina ne avevano invece un po’ paura.

 

 

(Lorenzo Amurri, Apnea, Fandango, 2013, pp. 251, euro 16)