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“La città degli uomini d’oggi” di Edoardo Persico

di Silvia Meschino / 17 ottobre

È questa la prima cosa che colpisce della nuova edizione Hacca di La città degli uomini d’oggi di Edoardo Persico: la bellissima copertina di Maurizio Ceccato. Un colpo d’arte questa foglia leggiadra che sulla carta bianca si dirama suggerendo alla nostra mente una grande metropoli di oggi o di ieri, la stessa che Persico racconta.

Persico è un intellettuale inquieto, ribelle, ein questi suoi scritti adolescenziali insorge lo spirito rivoluzionario di un uomo degli anni Trenta. Ragazzo formatosi nell’ambiente antifascista della rivista liberale di  Pietro Gobetti Il Baretti, nella Torino degli scontri sociali tra operai e fascisti. Torino e poi Milano, due città europee stimolanti e innovative in cui Persico seppe imporsi come figura di rilievo. A soli trent’anni, dopo aver lavorato per un breve periodo come operaio in Fiat, si avvicina alla cerchia di Pietro Gobetti e in poco tempo diviene scrittore, polemista, curatore e direttore di diverse mostre d’arte e d’architettura contemporanea, ma principalmente pioniere del pensiero. Edoardo Persico riuscì a far incontrare la più classica architettura fascista italiana con la stimolante architettura d’avanguardia europea, ponendo all’attenzione del grande pubblico i più sorprendenti architetti dell’epoca tra cui Le Courbusier, Gropius e Wright.

Persico è un giovane enigmatico, convinto antifascista e cattolico devoto, pubblica giovanissimo a sue spese un piccolo pamphlet filosofico apocalittico;che dopo quasi novant’anni la casa editrice Hacca ci ripropone provando a recuperare la memoria di un grande pensatore, ancora oggi sconosciuto.

Quella di Persico è una denunciasociale,un’invettiva contro gli uomini d’oggi, di cui racconta le favole, narra l’ipocrisia e il fango in cui sono caduti, la loro attitudine a deformare le parole, a sfruttare un linguaggio che  diviene complice delle loro nefandezze. Gli uomini d’oggi hanno alterato il senso, hanno voluto vedere il bello nel male, ma quando l’errore si svela il paradosso si compie: il bello si spoglia della sua maschera e si mostra per ciò che è: brutto.

Persico narra la realtà di una città arida, una città svuotata, «una città potente come il traboccare d’un letamaio, senza la tragedia della coscienza» dove, ormai, l’ombra ha oscurato il sole. Fango, letame, rumore, disprezzo e orrore. Questa città terrena, sorda, la cui unica speranza è implodere in se stessa per poi rinascere dalle ceneri della propria distruzione.

Persico annuncia la sua verità come un Cristo salvatore, acclamando l’avvento «di una città dei vivi che si innalzerà sulle rovine della città dei morti». Una città celeste, dove non esiste dissonanza, dove l’unità è armonia. A immagine e somiglianza di quella città ultraterrena che Giovanni narra nell’Apocalisse. Lo scrittore fonde il suo forte cattolicesimo alla visione socialista dell’architettura razionalista di Gropius e innalza la sua utopia: la città cubica.

Ecco, Persico è lì, alla ricerca «dell’aroma che impedisce alla vita di putrefarsi» e ne ritrova un’impronta nella bellezza della verità, nel naturale processo di distruzione e rinascita: «e perciò oggi tento l’arte». L’Arte, quella pura, non contaminata, è l’unico modo per ritrovare la bellezza perduta.

Ma il vero insegnamento che un uomo della statura morale di Edoardo Persico, con i suoi scritti, i suoi atti e i suoi ideali può consegnarci, è quello di non rinunciare mai alla nostra libertà di pensiero. Il pensiero è l’azione pura ancor prima dell’azione stessa. Il pensiero è libertà: «È tempo che dica la mia parola. La parola è un atto».

 

(Edoardo Persico, La città degli uomini d’oggi, Hacca, 2013, pp. 96, euro 12)