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Cinema

“Miss Violence” di Alexandros Avranas

di Francesco Vannutelli / 22 ottobre

Angeliki compie 11 anni. Li festeggia in famiglia, con i cappellini, la torta, e tutto il repertorio di felicità dei compleanni. Si fa fotografare con i parenti, poi, mentre tutti si mettono in posa per una foto di gruppo, in silenzio si sposta in balcone, scavalca la ringhiera e si lancia di sotto.

È l’incipit feroce di Miss Violence, opera prima del greco Alexandros Avranas vincitore del Leone d’argento per la regia all’ultima edizione della Mostra di Venezia.

Perché Angeliki si è buttata di sotto si capisce poco alla volta. La vita nella famiglia della bambina è molto diversa da quella immagine di normalità borghese che i primi minuti mostrano.

Gruppo di famiglia in un inferno, si potrebbe dire. Perché sotto la patina di comprensione e solidarietà che raccoglie la famiglia nel dolore si anima molto altro. L’apparente normalità di una famiglia attraversata dal lutto vibra sulla corda di una nota orribile. Il nonno comanda, in assenza del padre – apparentemente – scappato via, la nonna mette ordine, la madre esegue con silenziosi sorrisi mentre Angeliki cresceva con i suoi due fratelli più piccoli e Mirtò, la figlia quattordicenne dei nonni. È organizzazione familiare. Il nonno segue la scuola dei nipoti, impone punizioni, torna a lavorare per portare soldi a casa. Si carica il peso di tutta la famiglia sulle spalle, la trascina fuori, solo e titanico, dall’incubo della morte illogica e prematura. Così sembra, quanto meno.

La piramide di autorità rivela tutta la propria perversa e cogente autorità mentre si salgono e riscendono le sue varie facce. Le punizioni diventano umilianti, i sacrifici richiesti per la famiglia inumani. Il patriarca interpretato da Themis Panou (meritatissima Coppa Volpi) smette lentamente il sorriso rassicurante del nonno per mostrare tutti i denti del mostro.

Come il Crono della Teogonia, il padre divora i propri figli per mantenere il controllo e l’ordine. Ne divora le coscienze, annegandole prima nella negazione del loro stesso senso. Non c’è salvezza dall’orrore se non nell’obbedienza o nel salto nel vuoto di un cortile residenziale. E quando anche sembra che tutto stia per cambiare, quando Crono fa la stessa fine di Urano, per rimanere in ambito esiodeo, si scopre che la violenza, la costrizione, cambia pelle, come i serpenti, ma non cambia il cuore.

Miss Violence è un coltello che si pianta tra la rabbia e l’indignazione, che impegna lo spettatore, obbligandolo a non rimanere indifferente, chiamandolo in causa in prima persona quando gli attori guardano direttamente in camera.

La famiglia è da sempre nucleo della società nel pensiero greco. La repressione della libertà del figlio, la sua sostituzione con una normalità di violenza, psicologica, fisica, costante, è repressione dell’uomo nella sua espressione primordiale.

Il momento di profonda difficoltà delle istituzioni politiche ed economiche che sta investendo la Grecia negli ultimi anni porta a riflettere sul concetto stesso di società, sul suo embrione fondativo, come a cercare le cause del degrado esteriore in una cellula originaria infetta. Il nuovo cinema greco si confronta spesso con la realtà della famiglia. Nel 2009 la famiglia isolata e portata all’estremo parossistico da Yorgos Lanthimos in Kynodontas aveva sconvolto Cannes. Ora Avranas spalanca una nuova finestra sull’orrore domestico. Un orrore più comune di quanto si voglia ammettere. Il modello del controllo patriarcale, immagine della concezione classica del potere, si rivela inadeguato, arbitrario, impregnato di una violenza primitiva e amorale. Il potere non ha freni, non ha controllo, non c’è garanzia, né terrena né trascendentale. La violenza è nome stesso del controllo.

All’esordio, Alexandros Avranas colpisce subito nel segno. Accompagna la brutalità del copione scritto con Kostas Peroulis con uno stile registico potente fatto di simmetrie, prospettive centrali e camere fisse che deve molto a certi momenti (Funny games, Niente da nascondere) del cinema di Michael Haneke. Il piano sequenza con cui confeziona la visita degli assistenti sociali è un manifesto di consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie idee.

 

(Miss Violence, di Alexandros Avranas, 2013, drammatico, 98’)