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Cinema

“Dietro i candelabri” di Steven Soderbergh

di Francesco Vannutelli / 3 dicembre

La vera vita del musicista e showman Wlodiaz “Walter” Valentino “Lee” Liberace (da pronunciare Liberaci, non Libereis, in quanto pronuncia corrotta del cognome italiano del padre originario di Formia) e il suo rapporto con Scott Thorson, conosciuto giovanissimo e rimasto al suo fianco per sei anni, sono al centro dell’esordio televisivo sul network HBO di Steven Soderbergh Dietro i candelabri.

Liberace è stato un uomo di spettacolo di enorme successo negli Stati Uniti. Conduttore televisivo, attore, showman sui palchi di Las Vegas, Liberace fu soprattutto un pianista di elevatissimo livello, padrone del repertorio classico che è stato in grado di coniugare con il puro intrattenimento. «Quando mi sono esibito per la prima volta ho pensato: sala buia, pianoforte nero, smoking nero. Nessuno si accorgerà di me», raccontava dal palco durante i suoi spettacoli. I canoni tradizionali della musica da concerto non si addicevano alla sua personalità egotista e si reinventò quindi lontano dagli auditorium e dai conservatori sugli schermi televisivi, connotandosi per i suoi vestiti sgargianti e il candelabro che sempre posizionava sulla coda del piano. Arrivò ad essere l’artista più pagato di tutto il Nord America tra gli anni Cinquanta e Settanta, celebrato sulle riviste patinate e venerato dai media che si dedicavano alla sua vita privata quotidianamente, raccontando la poetica storia d’amore che lo legava a una pattinatrice.

Tutto falso, tutte invenzioni per la stampa. Liberace era gay, con una passione per i giovanissimi. Quando conobbe Scott Thorson aveva quasi sessant’anni, il ragazzo solo sedici. È sull’aspetto privato che si concentra Soderbergh in Dietro i candelabri, come il titolo stesso suggerisce – cioè dietro all’immagine sul palcoscenico –, sull’ambigua fragilità della persona Liberace che emerge dal rapporto con Scott. Il culto di se stesso a cui il pianista aveva consacrato ogni suo giorno si proietta sul giovane, assorbito nella sua vita e costretto, con le armi della generosità e dell’amore autentico, a farne parte totalmente, condividendo la casa, il lavoro, ogni minuto del suo tempo.

Scott è l’amore fisico, ma anche quel figlio che Liberace non aveva mai avuto e che aveva smesso di sognare. Lo manipola, anche fisicamente con interventi di chirurgia plastica, per renderlo simile a lui, e quando qualcuno lo confonde per suo figlio sulle labbra gli appare il sorriso più sincero.

Varrebbe la pena guardare Dietro i candelabri anche solo per l’interpretazione di Michael Douglas, memorabile negli sfarzosi panni di Liberace, alla sua migliore prova d’attore dai tempi di Wall Street, capace di tratteggiare un uomo complesso e irresistibile, magnetico e inavvicinabile. Lo aiuta la sceneggiatura di Richard LaGravenese (candidato all’Oscar per La leggenda del re pescatore) che, partendo dai libri autobiografici dello stesso Liberace e di Thorson, rende al meglio i dettagli psicologici dei due protagonisti e dei personaggi secondari che ruotano loro intorno.

Soderbergh dimostra la consueta padronanza della telecamera e dell’inquadratura. C’è da capire se davvero dopo questo film si ritirerà dalle scene, o si prenderà un anno sabbatico, per dedicarsi alla pittura come più volte annunciato.

Convince meno, per evidenti incompatibilità anagrafiche più che per la qualità della recitazione, la scelta del quarantatreenne Matt Damon per la parte di Scott Thorson. Senza dubbio un ruolo complesso che richiedeva un attore esperto, ma il divario d’età tra personaggio e interprete dà al tutto sfumature grottesche.

Dietro i candelabri ha avuto una gestazione non semplice. L’idea era venuta a Soderbergh già nel 2000 durante la lavorazione di Traffic. Michael Douglas si era lasciato subito coinvolgere nel progetto. Ci sono voluti anni per trovare il modo migliore per inquadrare la materia al di fuori degli stilemi del biopic e quando nel 2010 tutto sembrava pronto, Douglas era impegnato a combattere il cancro che lo aveva colpito. Nel frattempo Soderbergh non riusciva a trovare finanziatori per il progetto, accusando le case di produzione hollywoodiane di non credere nel film perché «troppo gay».

La decisione del network televisivo HBO di produrre il film apre nuove porte al linguaggio del cinema d’autore. In Nord America il film è passato direttamente per la tv via cavo, nonostante la partecipazione in concorso all’ultima edizione del Festival de Cannes (prima volta per un film tv). In Europa i distributori hanno scelto comunque il passaggio nelle sale cinematografiche.

 

(Dietro i candelabri, di Steven Soderbergh, 2013, drammatico, 118’)