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Musica

[BioSong] “Frances Farmer Will Have Her Revenge on Seattle” dei Nirvana

di Alessio Belli / 13 gennaio

Parlandone ancora oggi, con lieve tono malinconico, viene fuori quella frase: «Kurt era il nostro amico che non ce l’ha fatta». L’«amico fragile» da ricordare sempre a chi non lo conosce. La mia generazione ha vissuto con Cobain già nel mito. Nevermind era nell’Olimpo, il grunge una moda ormai conclusa, le facce dei Nirvana stampate sulle magliette, il concerto a Roma e l’overdose, il fucile che spara, Courtney Love che piange sulla spalla di Michael Stipe: tutto fissato e immortalato nelle istantanee della Storia del Rock. Più che un coetaneo, per me Kurt Cobain è stato il fratello maggiore che ha urlato: «Prendi la chitarra, spacca tutto e fregatene!»

Parlando sempre con gli amici e gli esimi addetti ai lavori, prima o poi il discorso cade sulla sua fine. Qui il dibattito si fa più complesso, virando spesso e inutilmente sul complottismo e la leggenda metropolitana. Personalmente, non ho mai avuto dubbi e non ho mai creduto troppo a complotti o congiure. Ma non per arroganza o ottusità: per un motivo molto semplice chiamato In Utero.

I Hate Myself and I Want to Die: così Cobain voleva inizialmente chiara l’album. Chiaro no? Scherzo o meno, questa era ciò che rispondeva a chi gli chiedeva come stava.

“Serve the Servants”, a proposito del suo stato d’animo e il divorzio dei genitori:
«Adesso sono vecchio e annoiato».
«Questo leggendario divorzio è una tale noia».

“Dumb”:
«Il mio cuore è spezzato, ma ho un po’ di colla / aiutami a inalare e lo ripareremo insieme».

“Milk It”:
«Guardo verso la luce / c’è il suicidio».

“All Apologies”.
«Nel sole mi sento unico / sposato e sepolto».
 


Ecco alcune della frasi cantate nel terzo album in studio dei Nirvana. A livello tematico In Utero è un disco impregnato di frustrazione, dolore, morte. La copertina e l’art work del disco – fatti dallo stesso Cobain – sono un delirio violento: feti intrecciati, corpi sezionati, angeli dalle interiora esposte. Collage come istantanee della sua salute. I versi poi risultano una dichiarazione d’intenti. Peggio ancora: una lettera d’addio, esplicita come quella straziante che Cobain scrisse davvero prima di premere il grilletto. Tutt’oggi, mentre si celebrano i ventennali dell’uscita, è terribilmente doloroso riascoltare quelle parole, cantate in quella maniera, con un tono che alterna la depressione alla foga. È come ascoltare preavvisi e richieste d’aiuto mai decifrati e capiti davvero. Il tasso poetico dei brani di In Utero è altissimo. Basta prendere «i capelli d’angelo» e «la scatola a forma di cuore» di “Heart-Shaped Box”. Cobain è diventato Rimbaud ed è difficile scegliere il testo più bello. Ma fra tutte le canzoni, ce ne è una terribilmente significativa, simbolica e profetica. Un personaggio che dall’Oltretomba è pronto a chiedere ciò che gli spetta. “Frances Farmer will have her revenge on Seattle”.

Ma chi era Frances Farmer? Parlare di una stella del cinema tormentata e dalla carriera bruciata è dire poco. Le attuali cronache scandalistiche di Hollywood impallidirebbero al confronto. La bellissima e affascinante Frances Farmer, nasce a Seattle, come Cobain, nel 1913. Ma non è solo stupenda: influenzata da Nietzsche, nel 1931 vince il concorso di scrittura con il saggio Dio muore. Il premio? Un viaggio in Unione Sovietica, che nonostante il parere contrario di tutti, Frances accetta subito. A ventidue anni si trasferisce a Hollywood: la fama arriverà immediata e sarà clamorosa. Dopo la prova nel film Ambizione, la Farmer è una diva. È l’inizio della fine. Il carattere, l’abuso di droghe e alcol poco a poco la portano a litigare con gli Studios. Nel 1942 è rinnegata e abbandonato dallo star system. L’arresto per guida senza patente e le intemperanze verbali contro l’agente di polizia portano all’arresto e al processo, in cui la Farmer getta addirittura il calamaio pieno di inchiostro in faccia al giudice. Da qui, le cose prendono una piega terribile, fatta di lunghi ricoveri in manicomio e terapie poco lecite. Nella sua biografia – Will There Really Be a Morning? – la Farmer parla di stupri da parte degli inservienti, obbligo a prostituirsi con i militari della base vicina, lobotomie, degrado, umiliazioni indicibili.

Nel 1950 Francis cerca di tornare alla normalità con piccoli lavoretti da impiegata. Nel 1958, dopo quindici anni, ritorna sulle scene, ma del suo talento radiante è rimasta solo la tenue ombra. L’unica oasi felice è il Frances Farmer Show, condotto con ottimi risultati fino al 1964, data in cui i problemi di alcolismo la faranno cacciare. Segue nell’ultimo periodo un alternarsi triste di attività commerciali di breve durata e arresti. Morirà di cancro ai polmoni a 57 anni.
 


Ora, bisogna chiedersi: perché Cobain era talmente legato alla Farmer? Fissato a tal punto da chiamare Frances la sua unica figlia, e da far indossare alla Love, nel giorno del loro matrimonio, un vestito verde appartenuto all’attrice. Confrontando le due biografie, i caratteri e le scelte di vita, le risposte vengono fuori. Il leader dei Nirvana ha sempre rifiutato il ruolo di star, di portavoce della Generazione X. Ha sempre reso palese, fin troppo, l’odio e il disgusto per il mondo discografico e gli squali che lo popolano. Sensibile ed emotivo, ha pagato in prima persona la fama e il successo mondiale di Nevermind. Un peso insopportabile e opprimente che, andandosi a legare con i traumi del passato mai del tutto superati e le dipendenze sempre più gravi, ha causato un infausto finale. Francis Farmer è una sorta di modello e di alter ego. Colei che fu tra le prima ad agire senza piegarsi alle regole degli Studios, agendo sempre di testa sua. Anche lei ha pagato a caro prezzo la sua fragilità e la sua purezza, tra il declino rapido e il logoramento dovuto a droghe e alcol. Cobain prova empatia e affetto per uno spirito affine dal tragico destino. Magari in un mondo giusto, sarebbe stata la diva tra le dive. Ma state tranquilli: avrà la sua vendetta.

In “Frances Farmer Will Have Her Revenge on Seattle” Cobain proietta con terribile lucidità il suo futuro. Il tono è quello di colui che non ha più nulla da perdere. Il ritornello è straziante e annichilente: Cobain non sa bene più nemmeno quando è triste: «I lost the confort of being sad».

Poco da aggiungere: altro intaglio nero da mettere sull’incisione di In Utero. E il finale del brano è l’immagine definitiva. Il commiato assoluto e finale di Cobain e dello speculare modello Farmer: «Tornerà come il fuoco per bruciare tutti i bugiardi / lascerà un manto di cenere sulla terra.»

Essendo due angeli caduti, ora Kurt e Frances dividono lo stesso lembo di cielo, magari raccontandosi come sarebbero potute andare le cose. Per ingannare il tempo, progettano la loro vendetta su Seattle. E sul mondo.
 

(Nirvana, Frances Farmer Will Have Her Revenge on Seattle, 4’ 09’’)