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“Lo zio Oswald” di Roald Dahl

di Roberto Nugnes / 14 gennaio

Nello spassoso Lo zio Oswald (Longanesi, 2013), ambientato nell’Europa di inizio Novecento, Roald Dahl descrive con umorismo e creatività l’ascesa di un autentico e instancabile viveur, personaggio già apparso in precedenza in due brevi racconti.

Ha le idee chiare fin da subito il giovane Oswald Hendryks Cornelius, nella Londra anteguerra, dove il desiderio di voler vivere una grande vita è l’unico obiettivo da perseguire. La sua esistenza sarà votata all’agiatezza e alle delizie, con l’intenzione di anteporre a tutto il sesso. Una delle prime regole è dunque quella di non andare mai più di una volta con la stessa donna, il che la dice lunga sulle aspirazioni che il giovane e intraprendete Casanova si era prefisso.

Tutto ha inizio con l’incontro fortuito con un elegante signore che gli fornisce la notizia dell’esistenza di un certo scarabeo vescicante sudanese (cantharis vesicatoria sudanii) e delle sue miracolose proprietà erotiche. Si diceva che assumendo una piccola quantità dell’insetto essiccato, quindi polverizzato, si riuscisse a riesumare anche il più addormentato degli amanti, rendendolo in pochi secondi un insuperabile e prestante amatore.

Inizia così la bizzarra avventura dello zio Oswald, che lo avrebbe poi portato ad essere il milionario godereccio che è poi effettivamente diventato. Da qui il viaggio in Sudan, per reperire quanti più scarabei possibili, per poi tornare in Europa, a perfezionare il preparato e servirlo dunque, con astuzia, a coloro che avrebbero dovuto fruttargli il maggior guadagno. Oswald frequenta le ambasciate, i palazzi reali, ed è a loro che si rivolge in primis, a quei vecchi politicanti atrofizzati gonfi di grana, che avrebbero dato qualunque cosa per riscoprire l’ormai perduto vigore sessuale: si sa, il potere vuole il sesso facile e tracotante, una costante che lega i regnanti di tutte le epoche.

Arrivano dunque i primi successi, i primi guadagni, mentre l’ascesa viene stoppata momentaneamente da una guerra mondiale a cui Oswald partecipa, ma che omette totalmente dal suo incalzante diario, in cui non v’è spazio per morte e sofferenza.

Niente può fermare la sua ambizione, sempre in cerca dell’idea sublime, che gli viene fornita quando comprende di poter congelare sperma di toro per una eventuale fecondazione artificiale. Dal toro agli uomini il passo è breve, ed ecco l’idea rivoluzionaria: congelare lo sperma delle più grandi menti e personalità dell’epoca, per poi rivenderlo a caro prezzo alle donne che avrebbero voluto un figlio da reali, scrittori, musicisti.

Così, grazie all’aiuto della disinibita e intraprendete Yasmin e del professor Woresly, Oswald riuscirà a ottenere il liquido seminale dei più grandi d’Europa: in successione Monet, Renoir, Conrad, Puccini, Einstein, persino quello del sodomita Marcel Proust. Così la narrazione diventa oltremodo surreale, mai ridicola e sempre divertente, anche se vagamente ripetitiva nella caccia ai grandi per tutta Europa. Tutto sembra filare liscio dunque, fino al colpo di scena finale che rientra nell’iconografia delle commedie che trattano truffe e raggiri.

Con una scrittura brillante e ironica, Dahl crea un personaggio sferzante, colto, quasi un antesignano del rampantismo industriale di più recente concepimento, ma mai volgare, come invece i nostri giorni ci hanno abituato. Far soldi, per Oswald, deve innanzitutto essere un divertimento, e ancor di più deve recare piacere a coloro ai quali si sottrae il bottino. Leggendo, inoltre, non si può far a meno di attualizzare la vicenda, e giocare così sui grandi nomi, o presunti tali, dei nostri giorni; la lista, probabilmente, risulterebbe alquanto caotica e delirante, per l’inabilità culturale che le ultime generazioni hanno dimostrato d’avere, nel riconoscere universalmente le menti più brillanti.

(Roald Dahl, Lo zio Oswald, trad. di Silvia Piraccini, Longanesi, 2013, pp. 247, euro 14,90)