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“Bates Motel”: la seconda stagione

di Martina Baratta / 19 marzo

Chi era Norman Bates prima di diventare lo psicopatico assassino di Psycho?
Secondo i creatori di Bates Motel (tra cui Carlton Cuse, co-autore di Lost) era solo un ragazzo introverso e sensibile, deviato psicologicamente da un rapporto ambiguo e pericoloso con la madre Norma.
Questo rapporto morboso sviscerato in Bates Motel racconta l’evoluzione della pazzia che sfocia in Psycho in cui Norman Bates è un uomo che soffre un disturbo della personalità in cui la sua identità e quella della madre si sovrappongono: la serie ci fa finalmente conoscere la famosa Norma Bates, una donna forte e risoluta e unica figura di riferimento per Norman, che qui è un diciassettenne rimasto senza padre, schivo, con pochi amici e una spiccata predisposizione per l’isolamento e i passatempi macabri come – non poteva essere altrimenti – la tassidermia.

Norma esercita sul figlio un enorme potere, volontario e non, al punto che Norman considera le donne come rivali della madre e, vittima di quello che è un irrisolto complesso edipico, pur di allontanarle da sé finisce per ucciderle.

Con l’assassino della giovane e attraente professoressa da parte di Norman si era conclusa la prima stagione, registrando buoni ascolti e suscitando non poche curiosità. La seconda stagione è tornata da un paio di settimane e ci ha trascinato nuovamente a White Pine Bay, la cittadina in cui sorge il Bates Motel, riportandoci a qualche mese dopo gli ultimi avvenimenti. È stato più volte ribadito che questa serie non vuole essere un prequel di Psycho ma si ispira liberamente ai suoi personaggi: e infatti, sebbene le ambientazioni siano un chiaro richiamo al capolavoro hitchcockiano, le tecnologie e le tematiche creano una frattura netta tra passato e presente; Norma e Norman hanno un look fuori dal tempo, quasi vintage, ma abbondano di iPhone e pc ultimo modello, quasi a sottolineare come la strana coppia stoni nel contesto, così come stona il Motel, una struttura inquietante sorta nel posto sbagliato, fonte di potenziali buoni guadagni se solo non fosse destinato a restare tagliato fuori da una moderna superstrada in fase di costruzione.

La carta vincente di Bates Motel è stata quella di saper adattare in maniera fresca e moderna una storia di cui tutti conoscono il finale: non è chiaro se la strada intrapresa si concluderà laddove inizia Psycho, quel che è certo è che in mezzo si apriranno tanti sentieri non ancora battuti, dentro cui si muoveranno figure ambigue, cittadini corrotti e omertosi e un grosso traffico di marijuana.

Grazie alla recitazione di Vera Farmiga (Norma) e Freddie Highmore (Norman –sicuramente lo ricorderete meglio da bambino nei panni di Charlie Bucket ne La fabbrica di cioccolato con Johnny Depp), lo show acquista molti punti, specie quando deve dare forma con parole e immagini a comportamenti al confine della sanità mentale: l’interpretazione, nonché l’espressività e la mimica di Highmore ricordano in maniera inquietante Anthony Perkins, il Norman Bates originale, mentre la Farmiga riesce a far convivere il suo viso angelico col carattere di una donna fredda e manipolatrice, fragile solo all’apparenza, ingenua come una bambina quando se ve va in giro con il suo vestito a fiori ma abile calcolatrice quando si tratta di incastrare un nemico, nascondere un corpo o difendere sé stessa da accuse e cattiverie.

Se non avete mai visto Psycho l’ordine è quello di rimediare al più presto, in modo da godervi anche Bates Motel e apprezzarne l’ambizioso progetto di voler far rivivere un pezzo di storia del cinema adattandolo alle nuove generazioni che, purtroppo, si sono perse un po’ troppe cose.