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Musica

“McMao” di Management del Dolore Post-Operatorio

di Mattia Pianezzi / 28 marzo

A un paio d’anni dalla bomba Auff!, e a quasi un anno dall’eccentrica esibizione al concerto del Primo maggio che portò l’attenzione mediatica che meritavano, i Management del Dolore Post-Operatorio (MaDe DoPo, per abbreviare) tornano con la loro seconda uscita discografica.

Già dalla copertina si legge la possibile chiave di lettura dell’intera opera: vi è raffigurato Mao Tse-Tung ritratto come il pagliaccio del McDonald’s, dall’artista e provocatore Giuseppe Veneziano. Di qui il titolo dell’album, McMao, dal quale parte il paradosso che si snoda in tutto l’album.

Paradosso è l’opera stessa, il raffronto tra l’arte e il consumismo, paradosso come l’evoluzione musicale dei MaDe DoPo. All’ascolto pare che il quartetto abruzzese si sia mosso in avanti per poi adagiarsi. Il nuovo apporto strumentale elettronico è utilizzato alla grande, crea atmosfera, alienazione, riempie; il rodato songwriting funziona, gira, si sente chiaramente l’impronta dei MaDe DoPo e insieme la ricerca di freschezza, tenendo sempre d’occhio il loro rock energico e elettronico degli esordi.

Però a McMao manca qualcosa. Manca quella tensione primigenia di Auff!, quella forza punk nell’attitudine, non nel suono. Poi manca il pezzone. Non c’è un brano che ascolterei a ripetizione (parliamo pur sempre di un oggetto fatto per il consumo), per quanto vi sono dei buoni pezzi. Il singolo “La pasticca blu”, ponte di congiunzione con l’album precedente, mostra la virata synth pop mentre parla dell’alienazione e delle non-relazioni dei nostri tempi. L’altro singolo, “James Douglas Morrison”, è un po’ deludente nel tema: l’uso e abuso della figura del cantautore è inflazionato quanto la stessa accusa sull’uso e abuso, nonostante dentro ci siano i miei versi preferiti del disco: «La bellezza dei nostri sbagli / si scontra con la necessità dei loro portafogli».

Per tornare al paradosso dell’arte bisogna andare qualche pezzo indietro, nel dittico “Coccodè” – “Oggi chi sono”, due pezzi che riguardano la prostituzione e l’etichettamento: il coccodè della gallina è l’antitesi di ogni canto d’uccello poetico, eppure si viene pagati per farlo, e allo stesso tempo il «gioco pazzo […] ci entri solo se hai un prezzo» del secondo pare un’allusione al mondo dello spettacolo. Sull’arte torna “Il cantico delle fotografie” che utilizza la forma artistica forse più sdoganata negli ultimi anni, la fotografia, che ha perso di conseguenza il suo valore, come metafora dell’arte tutta, perché non è facile: «E se scattassi una foto / la mia paura sarebbe questa qua: / immortalare un momento sbagliato di eternità».

Appunto, non è facile: lo zeitgeist non è facilmente inquadrabile, soprattutto se si cerca una formula fissa. Già l’idea di proseguire con questa ricerca è ragguardevole e il punto di vista dei MaDe DoPo è peculiare. In più i quattro abruzzesi lo perseguono senza alcuna presunzione, sapendo benissimo di dover cercare ancora esplorando e suonando. Non sarà tra i dischi dell’anno del 2014, ma McMao è una tappa importante nell’evoluzione del suono e della personalità dei MaDe DoPo, alla ricerca della cristallizzazione su disco dei nostri tempi. D’altronde, l’arte è anche tentativo.


(Management del Dolore Post-Operatorio, McMao,MArte Label/ColorSound indie, 2014)