Fuori Sedia

Perché?! Io capisco se il posto non c’è. Esame, corridoio (cieco, buio e fetido: welcome to Roma Tre), due panche per duecento ragazzi, lo capisco. In fondo è colpa nostra, di chi ti chiede soldi per le tasse ma non investe in abitabilità. In quel caso lo capisco, che ti svacchi. Che ti accovacci. Che ti semi-sdrai. Sei anche carino, a vedersi: libro aperto in grembo, quando sulle cosce non tieni (appunto…) il laptop; aria assorta, mente speculativa, sai tanto di ggiovane in ambiente ggiovane. Sai pure di grunge, alternative e post-punk. 
È quando il posto c’è, che non capisco. Quando ti siedi ai piedi (rima interna) della panca libera. Quando ti metti a squadretta spalle al muro gambe dritte… e davanti hai un poltroncina. Libera, comoda e bella. Perché scegli il pavimento? Cosa ti porta al livello delle scarpe, del terriccio, della polvere? Come fai a non pensarci, quando scegli l’angolino, che stai facendo la stessa scelta della zella (e due: questa meno perfetta)?!
Passi quando sei in mood lucertola e segui il sole (e ti fai clessidra: utile, a volte); passi quando accanto o dirimpetto hai il maschietto (tre) o la femminuccia che ti garba, e magari t’accovacci a sbirciacchiare in utilissime prospettive (sì, nota sessista: e allora?!). 
Ma quando il posto c’è… perché, Studente, ti fai Fuori Sedia? Cos’è che hai, nostalgia di una qualifica assonante mai esperita? Ambisci a qualcosa che gli assomigli? Ma Fuori SEDE è un’altra cosa. E non implica, credimi, sciatteria. 
Anzi.
Vedi, Studente Fuori Sedia, su questo punto tu apri e vivi un paradosso: lo/la (va bene così? Is that politically correct enough?) Studente Fuori Sede i panni che indossa se li lava da sé, e ci pensa quarantasei volte prima di stravaccarsi in terra. Lo studente Fuori SEDE sa che toccherà a lui e solo a lui (a lei e solo a lei…), prima di potere rindossare, strofinare pre-lavare e pure céntri-fugare (e stendere e stirare!). 
Tu no. Non ci pensi e non t’importa. Tu sei in sede / E lo si vede (e quattro!). E te ne fotti, per dirla alla cortese: tanto ci pensa mammà (dubito papà), a garantirti pannucci puliti da lordare a piacimento. Li capisci adesso quegli sguardi, tra biasimo e pietà? Quel muovere istintivo di dita agli spiccetti (tipo barbone, per capirsi)? 
Nemmeno a scomodarlo, il connubio stazione eretta-dignità (ce n’è, pare, anche tra i primati; loro, poi, non sanno cosa sia corruzione), il punto è un altro:
Non mi urta la postura / Non è fatto di figura // A seccarmi studentello / È il tuo odio pel tinello.