“Open – La mia storia” di Andre Agassi

di / 15 luglio 2011

Confesso che mi trovo in difficoltà, non è facile infatti dover recensire l’autobiografia di uno dei propri miti sportivi: Andre Agassi. Ho cominciato a giocare a tennis nei primi anni ’90 cercando infatti di imitarlo sia nell’abbigliamento che nel gioco: capelli lunghi, completino Nike sgargiante, rovescio bimane il più possibile simile al suo (i risultati ovviamente non sono stati gli stessi). Inoltre ho sempre pensato avesse un sorriso simpatico il kid di Las Vegas e forse è proprio per questo, più che per i suoi meriti sportivi (enormi), che sin da piccolo mi ci sono affezionato. Del resto era indubbiamente più facile essere attirati da un personaggio così “sopra le righe” piuttosto che dai “grigi” Sampras, Edberg o Lendl (onore alle loro vittorie). Senza contare il fatto che molto spesso nelle telecronache dei suoi match “il vecchio scriba” (come ama autodefinirsi il grande giornalista sportivo Gianni Clerici) lo chiamava Andreino e dunque, per un periodo che adesso non so più quanto lungo, da bambino ho creduto che Agassi fosse italiano.

Il libro, pubblicato negli Stati Uniti nell’autunno 2009 e adesso finalmente tradotto in italiano, ha fatto sin da subito scalpore per alcune rivelazioni in esso contenute, acquisendo dunque una notorietà inusuale per un’autobiografia di uno sportivo. È bene però chiarire subito un punto dirimente, che lo stesso Agassi, nei ringraziamenti finali sottolinea: il tennista è debitore nei confronti di J.R. Moehringer (premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume nonché autore di un fortunato libro Il bar delle grandi speranze) in quanto quest’ultimo è «riuscito a dare forma alla sua vita». I due si sono incontrati per mesi parlando per ore davanti a un registratore, senza un ordine cronologico né tematico,« lasciando solo fluire il discorso assistiti da pile di ritagli di giornali». Alla fine, da una cesta di cassette contenenti gli avvenimenti della sua vita, lo scrittore ne ha tratto una storia. Alla richiesta di Andre di mettere anche il suo nome sul libro, Moehringer si è però rifiutato affermando: «Queste sono le tue storie, la tua gente, le tue battaglie».

Open – La mia storia si legge in un soffio grazie a uno stile più simile a un romanzo che a un’autobiografia: del resto, a pensarci bene, la vita di un ragazzo ribelle di Las Vegas che gira il mondo, diventa miliardario vincendo tutti i più importanti tornei di  tennis, sposando prima un’attrice e modella (Brooke Shields, nota più che altro in quanto interprete del film Laguna blu) e poi una campionessa di tennis  tedesca (Steffi Graff) cos’è se non un romanzo?

Eppure questa non è una storia di sport e di glamour, né tantomeno di soli successi e di felicità: tutt’altro. È la vita di un uomo che solo da pochi anni ha fatto pace con se stesso e con lo sport che gli ha dato tutto: fama, denaro, persino una moglie, ma non la serenità. Costretto, infatti, da un padre-padrone a giocare a tennis sin da piccolo colpendo migliaia di palline al giorno sparate da una macchina infernale («il drago»), Agassi ha per molto tempo odiato il suo sport  nonostante nessuno abbia mai creduto alla sue parole ogni qual volta lo rivelava: «Come lo puoi odiare veramente Andre?Non dici sul serio… ». Da qui la decisone di mostrare la sua ribellione cominciando a indossare completini sgargianti, mettendosi lo smalto sulle unghie, facendosi crescere i capelli con tanto di meches (immaginatevi le reazioni del serioso mondo del tennis). Schiavo della sua stessa immagine, in seguito alla calvizie, preferirà portare per anni un parrucchino prima di rasarsi a metà anni ’90 (perderà persino una finale del Roland Garros, ammette, in quanto afflitto, dopo uno shampoo sbagliato, dall’angoscia che la parrucca gli cascasse durante il match facendolo rimanere calvo di fronte al mondo). Neanche il matrimonio con Brooke Shields lo rende felice, così come  l’emozione per le numerose vittorie (intervallate però da lunghi periodi di black out) lascia ogni volta, in breve, il passo all’indifferenza. Ecco cosa succede quando ti trovi a fare qualcosa che non ami veramente («Ho giocato a tennis per un sacco di motivi e mi sembra che nessuno sia mai stato mio»); però, per non deludere il padre, gli amici, il suo staff, continua in quella che sembra una lotta contro se stesso più che contro gli avversari (anche se a batterne alcuni ci prova davvero gusto: in particolare Connors e Becher). Emblematico, in questo senso il paragone che Agassi fa fra tennis e pugilato: due sport individuali, in cui l’atleta si trova solo al centro dell’attenzione, eppure il tennis ti rende ancora più solo perché l’avversario lo vedi e basta, non puoi toccarlo o colpirlo come avviene sul ring.
E poi arriva il punto più basso, nel ’97: in un periodo particolarmente difficile un suo assistente gli propone uno sballo: metanfetamina («Sai che ti dico» – è la risposta di Agassi – «’fanculo tutto quanto. Ma sì sballiamoci»). Andre prova, così, soddisfazione a farsi del male e non gioca quasi mai, desideroso solo di abbreviare la sua carriera (periodo in cui però non esiterà ad aiutare gli amici più cari in difficoltà).

E alla fine, una volta toccato il fondo, come avviene sempre nelle storie a lieto fine, ecco la risalita. Il ragazzo glamour protagonista di una pubblicità Canon in cui affermava che «l’immagine è tutto» decide di ripartire dal basso, dal numero 141 del ranking, lui che era stato il migliore, il più forte; gioca i tornei Challenger, gli stessi a cui partecipava a sette anni, dove non ci sono raccattapalle (perché quasi non ci sono palle), dove i campi sono attaccati uno all’altro e dove il punteggio va segnato manualmente. Il resto è storia: altre vittorie, il ritorno alla vetta della classifica (il più “vecchio” numero della storia), due figli con la tennista Steffi Graf, un’associazione benefica per aiutare i bambini poveri, una pace interiore finalmente trovata. Una  seconda vita, non solo sportiva.

Ecco perché consiglio questo libro: la storia di un uomo, non di un atleta. La storia dei suoi errori e della sua resurrezione.

 


(Andre Agassi, Open – La mia storia, trad. di Giuliana Lupi, Einaudi, 2011, pp. 504, euro 20)

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