“La sesta stagione”: a tu per tu con Carlo Pedini

di / 18 giugno 2012

Un musicista decide di applicare la stessa tecnica compositiva di una sinfonia alla stesura del suo primo romanzo che a partire dalle vicende di tre seminaristi abbraccia cinquant’anni della nostra storia, dalla seconda guerra mondiale agli anni di piombo. Una scommessa? Quale l’esito?
Il risultato è la struttura perfetta di La sesta stagione (Cavallo di Ferro, 2012), scritto da Carlo Pedini, musicista, compositore e direttore d’orchestra. Vale la pena conoscere l’autore di questo poderoso e appassionante affresco storico che gentilmente ha risposto alle nostre curiosità.

Come è nato questo lungo lavoro? Cosa spinge un uomo di musica a cimentarsi in un altro campo artistico quale la narrativa?

Volevo fare un regalo originale a mia moglie Elena (appassionata lettrice) per quando avrebbe compiuto cinquant’anni. (la decisione risaliva a molti anni prima, visto il tempo che avrei dovuto impiegare).
Durante la scrittura del libro Le Forme della musica (Ed. Sinfonica – 2011) mi è capitato più volte di riflettere sulla differenza della prosa letteraria rispetto alla musica non avendo, al contrario della seconda, precise forme di riferimento nel guidare l’autore nel suo lavoro. Ho pensato di fare un esperimento e vedere se fosse stato possibile prendere un preciso modello e applicarlo fedelmente alla scrittura di un romanzo.


Dalla sua Nota alla fine del libro, e come i lettori dello scrittore tedesco possono constatare, apprendiamo che il modello di riferimento è I Buddenbrook di Thomas Mann, perché proprio questo romanzo?

Ho sempre amato questo libro e ritenuto perfetto nel tratteggiare la psicologia dei personaggi, sviluppare i temi narrativi, collocare gli snodi, sviluppare l’intera vicenda. Era il modello ideale per il mio tentativo.


Entriamo in punta di piedi nel laboratorio dello scrittore. Ci può spiegare schematicamente passo passo la tecnica compositiva da lei seguita?

Ho scannerizzato per intero I Buddenbrook e li ho tenuti sempre accanto durante la scrittura. Iniziavo con una pagina di Mann, a poco a poco toglievo i personaggi e l’ambientazione, sostituendoli con gli alter ego e la nuova vicenda. In alcuni punti, per rendere manifesta l’operazione, ho anche lasciato le parole originali di Mann che ovviamente vengono a trovarsi in un contesto completamente diverso.
 

Dopo un inizio piuttosto lento della narrazione nelle prime parti, il ritmo subisce un’accelerazione verso le ultime. È un tentativo di riprodurre l’incedere pressante dei tempi moderni dovuto all’avvento della società dei consumi e dei mass media?

Il tentativo era proprio quello. Anche il linguaggio cambia poco alla volta assumendo le caratteristiche degli anni descritti.
 

A differenza de I Buddenbrook in cui la narrazione è in terza persona, salvo assumere di volta in volta la prospettiva di alcuni personaggi principali quali Thomas Buddenbrook, Tony Buddenbrook o alla fine il piccolo Hanno, lei ha scelto la narrazione in prima persona. Perché ha scelto proprio don Piero Menardi come narratore?

Don Piero Menardi è l’anima ingenua che osserva la realtà senza incidere sugli eventi. Era un punto di vista privilegiato nel trattare la vicenda in modo apparentemente neutrale.


La Sesta Stagione è comunque un romanzo corale. Qual è il personaggio a cui è più legato?

A don Oreste Riccoboni. È una figura che si ispira a un personaggio reale che ho conosciuto e che in buona parte somigliava al personaggio del romanzo.


Il romanzo è un grande affresco che ripercorre cinquant’anni di storia italiana, dalla seconda guerra mondiale agli “anni di piombo”. Perché non è arrivato fino ai nostri giorni, visto che la crisi del cattolicesimo è evidente oggi ancora di più?

Ormai i temi erano esauriti, in particolare l’ultimo, quello legato al personaggio di Manlio Terzini: dove l’intransigenza imparata sui libri di don Lorenzo Milani, non temperata da una prospettiva più pacata e realistica lo portano paradossalmente a vestire i panni del terrorista.


Molti sono i temi trattati: dalla decadenza delle istituzioni ecclesiastiche alla lotta di classe e fra partiti, dalla collusione con il nazismo all’antifascismo, dal movimento studentesco al terrorismo, dall’omosessualità al suicidio. Quest’ultimo dà vita a uno degli episodi più toccanti, a mio avviso, che vede persino un vescovo vacillare di fronte al dogma che nega sepoltura ai suicidi. Non pensa che la Chiesa con questa rigidità è stata lei stessa a spodestarsi dal ruolo di punto di riferimento allontanando molte persone?

Sì, questo è proprio il mio pensiero.


Si aspettava di entrare tra i dodici finalisti del Premio Strega già con il romanzo d’esordio?

Certamente no. È stata una sorpresa tanto inaspettata quanto gradita.

 

Leggi la recensione di La sesta stagione.

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