“I dispiaceri del vero poliziotto” di Roberto Bolaño

di / 9 novembre 2012

L’ultimo romanzo di Roberto Bolaño, I dispiaceri del vero poliziotto, è un libro postumo. Roberto Bolaño è scomparso prematuramente nel 2003, una tale perdita lascia sempre un gran vuoto poiché sono tanti gli interrogativi, le curiosità, le domande che avremmo voluto fare allo scrittore per poter immergerci in modo totale nel suo mondo.

Devo confessare che non avevo letto ancora nulla di questo fecondo scrittore e mi sono avvicinata ai suoi personaggi con timore reverenziale. Credo che non sia neppure questa l’opera con la quale cimentarsi per prima se si vuole conoscere l’universo Bolaño, ma ammetto che sono stata conquistata dalla narrazione prolifica che richiama alla mente lo scorrere inarrestabile di un fiume in piena. I lettori che lo seguono da tempo non avranno difficoltà a riconoscere un universo letterario in cui si muovono personaggi eccentrici e originali che lottano con coraggio per affermare il diritto alla vita. Alcuni di essi, presenti in altre opere, tornano a incantarci con le loro strabilianti avventure, si pensi ad Amalfitano e a sua figlia Rosa oppure al commissario di polizia Don Pedro Negrete.

Amalfitano è «un uomo ancora bello, dai capelli folti», un cinquantenne professore di letteratura, vedovo con una figlia bellissima. Proprio all’inizio della storia, perde la cattedra all’università di Barcellona a causa di una liaison omosessuale con il giovane adolescente Padilla. 

Amalfitano, intellettuale colto e raffinato, assiste impotente all’improvviso e inevitabile offuscarsi della propria reputazione. La sua frequentazione con Padilla grava come un’onta sul buon nome dell’Università. Egli si deve far carico della «montagna della mia colpa» come lui la chiama, e vedere compromessa per sempre un’avviata e brillante carriera: «io che ho fatto tante cose e ho creduto in tante cose ora mi vogliono far credere che sono solo un vecchio schifoso e che nessuno mi darà più un lavoro, e nessuno si interesserà più a me». Da quel momento inizia il viaggio di padre e figlia verso un posto lontano dove non arrivi l’eco di quel legame compromettente, «di quella macchia difficile da cancellare».

Amalfitano è un uomo vero, dal passato drammatico, e ha sempre dovuto lottare per difendere la propria dignità e i propri affetti, un uomo solo contro tutti: «Siamo due zingari senza clan, detestati, usati, sfruttati, senza veri amici, io un pagliaccio e mia figlia una povera bambina indifesa». Padre e figlia continuano il viaggio di un’esistenza raminga in giro per i continenti: «Io che ho visto mia figlia sorridere in Argentina, gattonare in Colombia e fare i primi passi in Costa Rica… io che sono andato a visitare l’Italia, la patria dei miei nonni».

Nella vita di Amalfitano c’è un grave lutto, la perdita dell’amatissima moglie Edith Lieberman, donna di grande fascino, che lascia un vuoto incolmabile: «Il fantasma di Edith Lieberman che ci lasciavamo alle spalle». Le spalle simboleggiano lo sforzo della fatica, dell’angoscia esistenziale, e racchiudono la volontà pervicace che inesorabilmente lo spinge ad andare avanti senza voltarsi indietro, «con ciò che restava della mia biblioteca sulle spalle». Le spalle sono la protezione, lo scudo, l’ultimo baluardo prima di arrivare all’uomo: «Ho fatto il bagno con mia figlia in spalla sulle spiagge più belle del mondo». Esse custodiscono, proteggono e sostengono al tempo stesso la preziosità di attimi irripetibili e l’intimità familiare come una roccaforte: «A modo loro padre e figlia sembravano vivere in un altro mondo, un mondo stregato, provvisorio e felice».

Il titolo dell’opera, suggerendo l’esistenza di un’indagine di polizia vera e propria, offre una chiave di lettura poliziesca e infatti nella seconda parte del romanzo compare un commissario, Don Pedro Negrete, che assumerà l’incarico di sorvegliare le mosse di Amalfitano. L’ambientazione da noir si riflette nelle scene in esterno, quasi sempre notturne, Amalfitano di notte s’incontra col suo amante: «quella sera… passeggiava nel viale più alberato e al tempo stesso più buio di Santa Teresa»; va a trovare i suoi amici professori in orario di cena, e anche per riflettere è «seduto all’imbrunire nella sua casa messicana». Un pomeriggio all’incontro con il preside Horacio Guerra nel famoso giardino botanico di Santa Teresa, sembra che la natura del parco sia pronta a inghiottire l’uomo e il suo peccato, «nel dedalo di viottoli scuri, ad Amalfitano parve il labirinto di un parco inglese ma barocco e folle… a tratti fra i rami comparivano pezzi di cielo e nuvole piccole e rapide». 

Il senso di colpa che giace silenzioso nel fondo dell’anima, aleggia in ogni luogo quasi ricordando la vergogna originale dei progenitori nel giardino dell’Eden, quando, scoprendo di essere nudi, non ebbero più il coraggio di mostrarsi al loro Creatore.

(Roberto Bolaño, I dispiaceri del vero poliziotto, trad. di Ilide Carmignani, Adelphi, 2012, pp. 304, euro 19)

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