“Mille cretini” di Quim Monzó

di / 9 febbraio 2013

Se giudicassimo un libro solo dalla sua copertina – o meglio, dalla sua quarta di copertina – allora con Mille cretini (marcos y marcos, 2013) potremmo pensare di avere in mano un insieme di storie brevi, leggere, forse intenzionate a far ridere: nulla di più lontano, questo libro non riesce a strappare nemmeno un sorriso, al massimo una smorfia piuttosto amara; in realtà, non si tratta nemmeno di un libro leggero, l’unico dato sicuro e oggettivo di cui possiamo disporre è la sua brevità, che non è però sinonimo di una lettura “rapida e indolore”.

Monzó, scrittore catalano che sta acquisendo un certo rilievo nel panorama letterario internazionale, riunisce in 157 pagine una serie di racconti autonomi, legati dal fil rouge della dura realtà: un padre che si traveste da donna, forse per sfuggire alla vecchiaia e all’amarezza di una casa di riposo; la coppia di coniugi anziani e malati che non desidererebbero altro che morire ma che, a dispetto delle speranze del figlio, ormai esasperato, si ostinano a vivere, proseguendo lungo la spirale discendente che hanno imboccato da ormai troppo tempo; la donna che, abbandonata dal marito in un’età non più verde, decide di sbarazzarsi di ogni ricordo che ha di lui, facendo a pezzi la propria casa fino a raggiungere una soluzione estrema, per noi inattesa, che fa scorrere qualche brivido lungo le nostre schiene.

Monzó ha il raro pregio di sapere come si scrive un libro: sa giocare con fini tecniche narrative e ripetizioni come pochi sarebbero in grado di fare senza presentare un testo in realtà scevro da inventiva o vuoto, o senza rischiare di risultare autori privi di sostanza. I racconti si aprono sempre in modo piuttosto semplice, l’autore non ci dà indizi su come andranno a finire, ma non ci porta nemmeno a pensare a colpi di scena particolari come quelli che, appena poche pagine dopo, ci vengono presentati con una semplicità disarmante, lasciandoci senza parole: più andiamo avanti con la lettura, più ci rendiamo conto che la narrazione non si sposta, ritorna su di sé, la vediamo ripetersi e ripercorrere punti che abbiamo letto poco prima, con una variazione minima che tende al tetro, a una realtà distorta che diventa un’ottima metafora delle nostre vite. Ognuno di noi, per un aspetto o per un altro, si può sentire chiamato in causa sfogliando il libro, riconoscendosi in uno dei personaggi o delle situazioni crude e certamente concrete che lo animano.

Un aspetto assolutamente degno di nota di questi racconti è il modo con cui i personaggi ammettono a se stessi le proprie debolezze, facendosi per così dire perdonare da noi lettori proprio perché riconoscono la meschinità di un pensiero o di un gesto che, in circostanze molto particolari, è passato anche per le nostre menti: la speranza nella morte di qualcuno, che ci permetterebbe di sentirci più liberi, o magari un favore fatto solamente perché mossi dalla pena, di cui ci siamo pentiti, anche amaramente, a distanza di qualche tempo.

«Faccio ciò che è in mio potere per correggere il corso della realtà, e prevedere tutto, perché se evito brutte sorprese il domani sarà più sopportabile. Ma prevedere tutto mi mette un'ansia tremenda, che fa sì che le cose mi passino davanti come razzi, senza darmi il tempo di goderne. Non godo del bacio se non quando ormai c’è stato; allora lo ricordo con piacere. Non ne godo al momento perché vedo le ombre oltre la tenerezza, le terribili possibilità che si celano dietro ogni cosa piacevole»: è con molta probabilità questa la frase che riesce a rendere al meglio la profondità di Mille cretini e lo stile di Monzó. Contiene infatti una tematica profonda, in cui molti di noi possono riconoscersi, espressa con parole semplici e allo stesso tempo di impatto, che sanno raggiungere quello che dovrebbe essere lo scopo di un libro: scuotere le coscienze, far riflettere e, in qualche modo, far crescere. Anche in poche pagine, anche ripetendosi.


(Quim Monzó, Mille cretini, trad. di Gina Maneri, marcos y marcos, 2013, pp. 157, euro 14,50)

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