“Malacrescita” di Mimmo Borrelli

di / 13 marzo 2013

Il palcoscenico può diventare una tela se i colori pescano in tutte le sfumature del sangue e se le parole sanno essere pennelli dalle setole di spine. Non è detto che questo non possa dispiacere a chi si aspetta una tela visibile. Ma forse il pittore saprà con solerzia scartare dalla vista del suo pubblico i residui di umanità che l’immagine porta in dono. In quel caso vedreste proprio quei pennelli di parole passare su corpi che non il linguaggio ha partorito, ma i suoni che in esso germogliano. Sboccerebbero dunque fiori di suoni scabrosi e inquietanti, fiori docili ma fieri, fiori coltivati nel terreno di un’onomatopea che diventa incarnazione nelle viscere degli uditori del suono della parola viscere.

Tra questi fiori vedreste la storia di una madre. È una madre composta di parole orfane quella ritratta da Mimmo Borrelli. Parole slegate, straziate e strazianti, urlanti disegnano nell’aria organi spossati, liquidi infettati dalla vita. La madre è decomposta sul palco senza alcuna pietà e senza alcuna immagine cui appigliarsi. La parola di Borrelli trancia colpo dopo colpo ovaie, uteri e vagine, li stacca dal corpo di una madre lacerata dal piacere, sacrificato per il proprio ideale materno. L’accetta di Borrelli è intrisa di sudore mentre affonda sul ventre sfatto della storia di una madre non più donna. Maria Sibilla Ascione sale sul palco pezzo dopo pezzo, organo dopo organo, fino a ricomporre la sua storia di vittima in un impianto narrativo esplicitamente invertito.

Non si tratta dunque di una storia che si serve di suoni e parole, ma di suoni e parole che attraversano la storia di una ragazzina, la ingravidano e, nel loro essere partoriti con travaglio sul palco, divengono teatro. Il violento marito e il suo seme non sono altro che accidenti di una vicenda già vaticinata fin dalle prime mestruazioni di Maria Sibilla. La stessa donna forse è solo un pretesto dei suoni delle viscere della vita per riemergere nella carne di due gemelli. Gemelli questi ultimi che non avrebbero potuto dunque non essere allattati con il rosso del vino.

Il colore dominante, pur non apparendo sulla scena, passa dalle mani del carnefice, al corpo della donna vittima/carnefice, per approdare a quello dei figli, vittime della follia materna, ma carnefici di un pubblico straziato dalla loro narrazione. Quando il sangue si mescola alla follia non rimane che attendere la (de)generazione del suono. Quella di Antonio Della Ragione non è musica di armonia, ma battiti nel vuoto della mente, non sostegno alla parola spezzata, ma la tensione prima del prossimo colpo di mannaia di Mimmo Borrelli. La parola nasce infatti dai suoni indifferenziati emessi da bocche di figli e di madri troppo chini sulla vita per potersi risollevare e tornerà a essere mugugno, perché le storie di follia non possono che essere scandite solo per una volta.

 

Malacrescita
regia di
Mimmo Borrelli
tratto dalla tragedia La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimmadi Mimmo Borrelli
Con Mimmo Borrelli e Antonio Della Ragione

Per maggiori informazioni:
http://www.officinateatro.com/spettacoli-stagione-2/malacrescita/

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio