“Holy Motors” di Leos Carax

di / 7 giugno 2013

Dopo essere stato accolto lo scorso anno al Festival di Cannes come opera rivoluzionaria e geniale (e senza ricevere alcun premio dalla giuria guidata da Nanni Moretti), arriva finalmente in Italia Holy Motors di Leos Carax, già inserito al primo posto nella nostra classifica dei migliori dei film prodotti nel 2012.

Ventiquattro ore nella vita di un uomo, o meglio, nelle vite. Perché Monsieur Oscar saluta la famiglia una mattina come le altre per andare a lavoro. Quella però non è la sua famiglia, non è la sua casa, non è il suo lavoro. Ad attenderlo sul sedile della limousine bianca guidata dall’autista, assistente e amica Céline è il dossier del primo appuntamento della giornata. Oscar lo legge con attenzione, mentre l’auto gira per le strade di Parigi, poi inizia il rituale della vestizione. La limousine diventa un camerino affollato di bauli e parrucche, lui un’anziana mendicante piegata dalla gobba lasciata in un angolo della strada a chiedere l’elemosina. È solo la prima trasformazione della giornata. Ogni appuntamento una nuova identità, così Oscar diventa uno stunt-man per riprese computerizzate, un mostro onnivoro e ultra-tabagista che vive nelle fogne, un killer e la sua stessa vittima, un padre alle prese con le insicurezze di una figlia adolescente, un anziano moribondo assistito dalla nipote, il tutto prima di tornare la sera a casa, un’altra, da una nuova famiglia.

Alexandre Oscar Dupont, in arte Leos Carax, ex enfant prodige del cinema francese esploso con Rosso sangue (1986) e il travagliato Gli amanti di Pont-Neuf (1992), non dirigeva un film da Pola X del 1999, se si esclude l’episodio nel trittico Tokyo! del 2008, da cui recupera il personaggio di Monsieur Merde. Il suo ritorno con Holy Motors, di cui è anche sceneggiatore è una decostruzione celebrativa del cinema, del suo linguaggio e delle sue illusioni.

È il regista stesso a condurci dietro le quinte della pellicola nell’incipit onirico e metafilmico, trovando una porta nascosta nella scenografia («Nel mio appartamento c’è una porta che fino ad ora non avevo mai notato», ha scritto Kafka) e in se stesso la chiave per aprirla per entrare in una sala in cui tutti assistono, immobili e a occhi chiusi, alla proiezione delle riprese pioneristiche di Etienne-Jules Marey.

Le varie vite di Oscar sono momenti della storia del cinema, piccole trame che si accennano e si compiono passando da un genere all’altro, muovendosi avanti e indietro lungo l’asse del tempo. Carax gioca con la cinefilia, sua e di chi è in grado di coglierla, cogliendo, omaggiando, autocitandosi, rimpiangendo un tempo in cui la finzione e l’illusione del cinema era evidente, non nascosta, quando le macchine da presa si vedevano, come Oscar dice a Michel Piccoli, apparso misteriosamente nella sua limousine, quando il gesto si trasformava in espressione filmica, non veniva filtrato dalla realtà digitalizzata come nella motion-capture della seconda incarnazione di Oscar.

Il confine tra reale e finzione si fa via via più labile in ogni sequenza. La rappresentazione si radicalizza a favore di un pubblico ulteriore rispetto a quello in sala. Oscar non interpreta più dei ruoli in mezzo ad altre vite normali, recita la sua parte in un contesto in cui tutto è messa in scena, come nei panni dell’anziano che muore vegliato dalla nipote, anche lei attrice e collega di Oscar, mentre interprete e personaggio si confondono nell’incontro con Jean, amore del passato, anche lei in giro in limousine nella notte parigina.

Il rischio del solipsismo autoriferito è in agguato, ma Carax sa come distrarre lo spettatore e confonderlo nel modo giusto.

Nei (molteplici) panni di Oscar, Denis Lavant, fedelissimo del regista dalla prima ora, è straordinario, per limitare il giudizio a una sola parola. Si trasforma e si annulla nelle incarnazioni di Oscar, si rigenera e rinasce come donna, come mostro, come padre, così come si trasforma e si rigenera lo stile di Carax in ogni sequenza.

Brevi apparizioni di Eva Mendes e Kylie Minogue (che canta), oltre a Piccoli.

Almeno due momenti da ricordare: le riprese acrobatiche in motion-capture e il piano sequenza dell’intervallo musicale.

 

(Holy Motors, di Leos Carax, 2012, drammatico, 110’)

 

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio