“Inutile Tentare Imprigionare Sogni” di Cristiano Cavina

di / 7 novembre 2013

Gradito ritorno quello di Cristiano Cavina che, con il suo Inutile tentare imprigionare sogni (Marcos y Marcos, 2013), ci regala un maturo e leggero sguardo sul mondo della tarda adolescenza.

Qualsiasi cosa decide di raccontarci, l’autore emiliano riesce a dosare alla perfezione parole e pensieri, alternando su più piani momenti di riflessione e di sorriso.

Questioni individuali – amore, amicizia, sogni, scontri generazionali, alternanza di ruoli, crescita personale – e questioni collettive – guerra, politica (quella vera e quella idealizzata), lavoro, educazione – sono le tematiche che si intrecciano continuamente in tutta la narrazione.

C’è molta eleganza e c’è molta dolcezza nella scrittura di Cavina. In un linguaggio spesso intriso di quotidiano, c’è una sottotraccia poetica: una poesia che viene dalla naturalezza e dalla gentilezza che si riesce a esprimere.

Ancora una volta l’epicentro di tutto è il microcosmo di Casola (paese a cui è lasciato il tributo della “epigrafe” finale), come se la vita di una cittadina emiliana di provincia possa racchiudere il senso del mondo, il senso della vita. Le case popolari in cui giocavano gli alter ego di Cavina bambino si trasformano in istituti tecnici (popolarissimi anch’essi); il dolore per una perdita o l’attenzione per la memoria (quella del suo libro più bello, I frutti dimenticati) e i viaggi infernali dell’ultimo Scavare una buca (opera intensa, la sua più sofferta sicuramente) lasciano il posto al racconto della stagione più difficile del nostro essere giovani, gli anni delle scuole superiori.

Ora il centro di tutto è la scuola, luogo di incontro di vite solo apparentemente subordinate (professori vs alunni, genitori vs istituzioni, mondo interno vs mondo esterno). Scuola come individuale e universale geografia umana, campo d’azione dei nostri slanci, delle nostre delusioni (e castrazioni), del nostro imparare teorico e del nostro imparare pratico.

La forza dei simboli (kefia rossa, feste dell’Unità, cortei, discorsi altisonanti e vuoti nella sostanza) che si sgretolano e si consumano davanti ai nostri occhi, l’ingenuità di chi segue senza capire, la rabbia di non saper mostrare il proprio disappunto, diventano peculiarità di una certa politica vissuta negli anni scolastici (ancor più se ci troviamo a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, in piena distruzione dei valori che avevano caratterizzato il dopoguerra italiano.

Studenti e professori diventano tutt’altro, qualcun altro: esempi da seguire e da cui fuggire. Ciò che succede ai ragazzi del libro sono storie che abbiamo già sentito, che forse sono capitate anche a noi.

È proprio questo il punto: Cavina sa farsi ascoltare perché conosce la materia che tratta e conosce soprattutto il linguaggio con cui raccontarla.

Cavina, ancora una volta, capisce pregi e difetti del nostro paese, anche se non lo osserva da Roma o da Milano. Come se fosse tuttouna grande provincia: forse neanche ha poi così torto.


(Cristiano Cavina, Inutile Tentare Imprigionare Sogni, Marcos y Marcos, 2013, pp. 224, euro 16)

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