“Tutta colpa di Freud” di Paolo Genovese

di / 24 gennaio 2014

Terza commedia italiana ad arrivare nelle sale in questo avvio di 2014 cinematografico. Dopo Sapore di te, operazione nostalgia dei Vanzina a trent’anni da Sapore di mare, e il deludente (seppur trionfale in termini di incassi) Un boss in salotto di Luca Miniero, è il turno del suo ex partner artistico Paolo Genovese declinare in chiave leggera la psicanalisi con Tutta colpa di Freud.

Francesco è uno psicanalista che ha che fare, quotidianamente, con tre pazienti particolarmente impegnative. Sara è un’omosessuale pentita dopo l’ennesima delusione d’amore che decide di tornare all’eterosessualità. Marta dirige una piccola libreria e si ostina dietro sogni d’amore impossibili ispirati dalle sue letture. Emma ha diciotto anni e un fidanzato di cinquanta, sposato ma apparentemente prossimo a lasciare la moglie per iniziare da capo con lei. Le ragazze sono le tre figlie di Francesco che, abbandonato dalla moglie partita al seguito di una vocazione umanitaria in Africa anni prima, le ha cresciute da solo facendo loro da mammo (sic), amico, confidente, mai padre severo ma sempre comprensivo e solidale. Accanto ai travagliati amori delle sue, ormai non più, bambine, Francesco ha una sua privata illusione sentimentale con una donna elegante e silenziosa che incontra tutti i giorni a passeggio con il cane.

All’origine di Tutta colpa di Freud c’è un soggetto scritto dallo stesso Genovese insieme a Leonardo Pieraccioni e Paola Mammini, che poi il regista ha sviluppato, oltre che come copione, anche nel romanzo che segna il suo esordio editoriale per Mondadori (Tutta colpa di Freud, 264 pagine).

Al contrario dell’andamento ormai abituale per le commedie commerciali italiane degli ultimi anni, Tutta colpa di Freud inizia male per migliorare nello sviluppo della trama. L’inutile, ridondante, ammiccante, terrificante auto-presentazione in voice-over dei vari personaggi di apertura lascia presagire il peggio, così come la raffica di stereotipi sull’amore, declinato come passione culturale per Marta (Vittoria Puccini) o sentimento omoerotico per Sara (Anna Foglietta), sparata subito dopo. E se l’introduzione del terapista Marco Giallini con paragone tra amore e raffreddore, che campeggia anche sulla quarta del libro, con tanto di riferimento ai fazzoletti usati come unica traccia che resta del sentimento che fu, stordirebbe anche il più navigato consumatore di Moccia o Volo, è proprio da quel momento che autorizzerebbe ogni fuga che il film raddrizza la propria parabola verso traiettorie di decenza, diradando il buonismo del padre perfetto e disperdendo il nucleo familiare nelle sottotrame sentimentali. A non funzionare, e a caratterizzare in negativo la prima parte del film, sono proprio le dinamiche tra sorelle, con Genovese in evidente difficoltà con dialoghi tutti al femminile. Quando i personaggi maschili fanno il loro ingresso in scena, a fianco di Giallini, lo scambio di battute si fa più fluido, divenendo addirittura brioso negli momenti con Alessandro Gassmann, il cinquantenne della figlia piccola.

Ambientato in una Roma da cartolina, tutta chiusa nel suo centro, senza eccesso da ufficio turistico ma comunque irreale, sprovvista com’è di ogni dimensione prettamente urbana, dal traffico in giù, Tutta colpa di Freud conferma la capacità di Genovese (vista già in Immaturi e Una famiglia perfetta, oltre che nei primi lavori con Miniero) di confezionare soggetti per lo più originali nell’approccio al tema classico della commedia e, parallelamente, i limiti di regia e scrittura nello svilupparli in film pienamente riusciti. Il rifugio nel repertorio di situazioni di facile presa sul pubblico generale lascia prevalere confezioni che ancor più che televisive sono da spot pubblicitario, con un trionfo del volemose bene generale che semplifica, a volte banalizza, le problematiche usate come spunto di partenza (ed è il caso dell’identità sessuale, «una cosa seria», come ripetono Giallini e Foglietta nel film, non un capriccio da starnuto allergico come invece viene mostrata).

Costato la bellezza di sei milioni di euro, con due settimane di riprese a New York per il (trascurabile, ampiamente) prologo sentimentale di Sara e una colonna sonora a tratti invasiva con i successi internazionali del momento (con ottimo brano originale di Daniele Silvestri), Tutta colpa di Freud andrà senza dubbio ad alimentare il filone delle commedie di ampio successo commerciale che hanno fatto di Genovese, Miniero, Brizzi e compagnia i nuovi signori del botteghino nazionale.

(Tutta colpa di Freud, di Paolo Genovese, 2014, commedia, 120’)

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