“Yves Saint Laurent” di Jalil Lespert

di / 25 marzo 2014

Presentato all’ultima edizione del Festival di Berlino, Yves Saint Laurent è la ricostruzione della vita dello stilista franco-algerino Yves Henri Donat Mathieu Saint Laurent scomparso nel 2008.

È il 1957 quando il ventunenne Saint Laurent diventa direttore artistico della maison Dior dopo la scomparsa del suo fondatore Christian. Il giovanissimo Yves lavorava già come assistente dello stilista da quando aveva solo diciassette anni, chiamato a Parigi dalla patria algerina di Orano per assicurarsi il suo talento. È l’inizio di una carriera prestigiosa che lo porterà a fondare la sua casa di moda e a diventare uno dei più importanti interpreti della moda e del prêt-à-porter di tutti i tempi, sempre affiancato dal paziente e pragmatico mecenate Pierre Bergé.

Tra ricadute e trionfi, il film di Jalil Lespert è la più classica delle biografie per immagini. Ha il pregio di mostrare la fragilità e le complessità di Yves Saint Laurent senza indulgenze, anche nei momenti in cui la debolezza emotiva lo rende insopportabile e distante dall’immagine di grandeur pubblica e di non indugiare nel momento della malattia, il cancro al cervello, che ha segnato gli ultimi anni di vita dello stilista. Pierre Bergé, il compagno della vita a cui nel film è affidata la narrazione, ha visionato e accettato il copione anche negli aspetti più privati della vita condivisa con lo stilista. Non c’è spazio per le speculazioni sensazionalistiche e per la dimensione dello scandalo: ogni rivelazione sul quotidiano intimo dei due è vita vissuta, sofferta, essenziale per cogliere ogni sfaccettatura della complessità di Yves Saint Laurent, artista della moda dai nervi fragili, individualista e timido, inquieto come tutti gli esuli, andato via dall’Algeria per la grande avventura a Parigi per ritrovarsi senza più una casa dove guardare, con quello che era il suo paese che non è più pronto ad accoglierlo. Tendente alla depressione, Saint Laurent è passato negli anni dalla sobria riservatezza del giovane impacciato alla sfrontata arroganza dell’uomo che si fa fotografare nudo per vendere un profumo, fragile e dipendente da ogni tipo di abuso – l’alcol, la droga, il sesso – e incarnazione di tutti gli aspetti più deteriori dei mutamenti culturali tra gli anni Sessanta e Ottanta.

Sprovvisto quasi totalmente di dimensione sociale, che mai ha realmente interessato e coinvolto Saint Laurent, nonostante attraversi trent’anni cruciali nell’evoluzione del costume e della società francese e internazionale,Yves Saint Laurent si concentra sull’aspetto privato del rapporto tra lo stilista e Pierre Bergé, co-fondatore e organizzatore assoluto dell’impero dell’haute couture. È la storia della loro coppia ancora più che la storia di Saint Laurent. L’interpretazione dei due protagonisti, Pierre Niney e Guillaume Gallienne (reduce dal trionfo ai premi César con il suo esordio alla regia Tutto sua madre), è uno dei maggiori punti di forza. L’intesa tra i due, la rete di intimità e sicurezza che si intrecciano a formare il rapporto di una vita capace di resistere ai vizi e alle deviazioni, resa con partecipata autenticità sorregge il film nei momenti in cui il peso dei vincoli di genere incombono. Perché Yves Saint Laurent è un bio-pic classico e convenzionale che si limita a svolgere il proprio compito di ricostruzione biografica senza indulgere in tentazioni agiografiche ma senza neanche aggiungere molto alle abituali svolte del cinema biografico (l’affermazione e il successo a cui si accompagna il percorso parallelo di crollo individuale nella debolezza e nel vizio).

Di origine algerina come Saint Laurent, il regista Jalil Lespert (noto principalmente come attore) cura i dettagli della ricostruzione storica dirigendo un ottimo lavoro di scenografia, costumi e trucco. La forma tende a prevalere sulla sostanza, ma non può essere altrimenti, quando si parla di moda.

 

(Yves Saint Laurent, di Jalil Lespert, 2014, biografico, 101’)

 

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