“La sedia della felicità” di Carlo Mazzacurati

di / 25 aprile 2014

È un arrivo triste, quello di La sedia della felicità nelle sale. Triste perché il suo regista, Carlo Mazzacurati, se ne è andato a gennaio e non ha fatto in tempo a vederlo al cinema, a vedere la reazione del pubblico. Triste perché La sedia della felicità è un film gioioso e positivo, come lo era Mazzacurati, che amava i suoi film come figli, ed è un peccato doverlo associare al ricordo della fine.

La storia della sedia è la summa del cinema di Mazzacurati, del suo gusto di raccontare con affetto storie di sconfitti e uomini in caduta. Perché Dino e Bruna sono due disperati sereni. Lui è un tatuatore separato in ritardo di mesi con gli alimenti per la moglie e il figlio, lei un’estetista che non riesce a pagare i debiti al viscido Volpato. Lavorano uno di fronte all’altro, ma non si conoscono. Si incontrano per caso e Bruna coinvolge Dino in una caccia al tesoro per recuperare le ricchezze di Norma Pecche, una sua cliente madre di un boss della mala veneta che prima di morire in carcere le ha confessato di aver nascosto una fortuna in una delle sedie del salone buono della villa di famiglia. I due iniziano un viaggio sgangherato e confuso per recuperare le sedie vendute in un’asta giudiziaria, con un prete sommerso dai debiti di gioco che dopo averli ostacolati si unisce a loro.

È una favola garbata, La sedia della felicità, garbata ma non buonista. Perché Dino, Bruna e padre Weiner (in ordine, Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese e Giuseppe Battiston, tutti e tre diversamente bravi) sono pronti a tutto per di recuperare la sedia, anche a rubare, truffare, sfruttare una povera veggente malata (Milena Vukotic) che rischia di morire a ogni contatto con l’aldilà. Come già in Il toro e La lingua del santo, i personaggi di Mazzacurati sono criminali per necessità, per caso e disperazione. Indossano la loro sconfitta con dignità e eleganza attaccandosi a ogni pretesto che possa garantire loro un riscatto scoprendosi maestri nell’arte di cavarsela. Il nord-est, ancora una volta sfondo del film di Mazzacurati, non è più terra di possibilità illimitate e di ricchezza come nel film d’esordio Notte italiana, ma percorso di declino nella mappa del decadimento morale ed economico d’Italia.

Qui, però, a Mazzacurati non interessa sottolineare gli aspetti pur rilevanti della crisi, ma concentrarsi sulla sospensione del reale dell’avventura di Dino e Bruna, improbabili cacciatori di ricchezze in sedie orribili a foggia d’elefante, e far sorridere seguendoli fino in cima alle Dolomiti.

Accettando proprio la sospensione che La sedia della felicità richiede si può sorridere di tanta miseria, del razzismo implicito di certa Italia mostrato con alcuni facili stereotipi (il ristorante cinese, il faccendiere slavo) e delle situazioni comiche abusate in passato e ripetute con quella gentilezza che contraddistingue tutto il film. Si è voluto divertire girando questo ultimo film, Mazzacurati, come a voler lasciare un ricordo di sé che fosse il più possibile divertente e autoironico, di una persona solare pronta a scollegarsi dal mondo reale a cui ha sempre guardato con enorme attenzione.

Probabilmente la scomparsa rende più indulgenti, pronti a sopportare momenti di debolezza televisiva e di approssimazione di scrittura, ma è un peccato davvero che Mazzacurati non ci sia più e che non ci saranno più altre sue commedie di sconfitti gentili.

Come a passare per un ultimo saluto, sono tanti gli attori che già avevano lavorato con Mazzacurati a comparire anche per pochi minuti, da Antonio Albanese (che con Vesna va veloce del 1996 divenne a tutti gli effetti attore) in doppio ruolo, alla coppia di venditori d’arte Silvio Orlando-Fabrizio Bentivoglio, passando per Katia Ricciarelli, Raul Cremona, Roberto Citran (che con Il toro vinse la Coppa Volpi a Venezia), fino al politologo Ilvo Diamanti.

Presentato al Torino Film Festival 2013 fuori concorso in occasione del conferimento a Mazzacurati del Gran Premio Torino Film Festival alla carriera.

 

(La sedia della felicità, di Carlo Mazzacurati, 2014, commedia, 90’)

 

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