Micah P. Hinson live @Circolo degli Artisti, 16 maggio 2014

di / 19 maggio 2014

Appena sale sul palco, Micah P. Hinson mostra in contemporanea tutta la sua fragilità e tutta la sua grandezza. Il passato e il presente nella figura, nelle movenze. Il fisico minuto, il volto reso adolescenziale grazie agli occhiali dalla grossa montatura, gli orecchini e il ciuffo ingelatinato all’indietro. Il gilet da punk, i tatuaggi. Ma soprattutto quel bastone che lo accompagna durante l’ingresso mentre il boato lo abbraccia. Un bastone che ricorda il terribile incidente automobilistico a cui è sopravvissuto: anche le braccia ne sono rimaste coinvolte, e lui stesso racconterà qualche aneddoto dell’accaduto durante il concerto.

Il Circolo degli Artisti, è pieno. Dog Byron ha fatto una bella apertura, scaldando ancora un di più il già estivo clima all’interno del locale. Ma il pubblico – fedelissimo e innamorato – è tutto per Micah, che mi raccomando si pronuncia Maica. Per chi ascolta un certo tipo di musica, indipendente, libera e lontana da tutte le convenzioni commerciali e stereotipate, sapere che esiste un pubblico che segue con tanto interesse ed affetto un personaggio così unico e particolare è una bella soddisfazione.

 

 

Con fare barcollante, Hinson imbraccia la chitarra elettrica e fin da subito inizia a raccontare le sue storie, tra Dio e Bellezza, dolore e furia. E subito il pubblico può ascoltare un brano immenso come “The Life, Living, Death And Dying Of One Certain And Peculiar L.J. Nichols“, tratto dall’ultimo capolavoro And the Nothing. Il ritornello dedicato al nonno è di una struggente meraviglia. Dal vivo le canzoni sono scarne, essenziali: voce, chitarra. Una chitarra che a fine brano tende a sfogarsi in assoli noise.

Poi entra una donna e si siede alla batteria. Hinson la presenta come la sua bellissima moglie, e chiede un applauso. E’ Ashley Bryn Gregory, immortalata più di una volta negli scatti delle copertine dei dischi del marito. Ashley è l’angelo custode di Hinson: lo si percepisce al volo, ascoltandolo anche nei momenti in cui lo accompagna vocalmente nei brani. Una rarità per i fan, che dimostra come il nostro Micah abbia ben saldi i modelli non solo a livello musicale: la proposta di matrimonio è stata “servita” alla sua Ashley sul palco alla fine di un concerto a Londra del 2008, proprio come fece un certo Johnny Cash.

I pezzi forti dell’ultimo disco ci sono tutti: “On The Way Home (To Abilene)“, “I Aint Movin“, “Good is God“, “The Same Old Shit.” Hinson si mette anche alla tastiera e sembra scegliere i pezzi leggendo sull’agenda bianca poggiata vicino ai tasti. E’ a suo agio, ringrazia il pubblico per la fedeltà, scherza e sorride. Risponde anche agli insulti di qualche patetico frustrato. Racconta dell’incidente alle braccia, del medico e dei suoi miracoli, dei nervi distrutti e quindi prima di imbracciare la chitarra acustica per folk fulminante, non perde tempo a sgranchire le dita. Il concerto prosegue, e Hinson intona – tra una smorfia e l’altra – anche i momenti più alti del capolavoro And the Gospel of Progress, come “Beneath The Rose“. Da segnalare anche la chitarra, con la stampa della copertina del disco sotto le corde e gli adesivi Fuck You, Im Batman e soprattutto This Machine Kills Fascists.

Ci sono i bis, c’è ancora tempo per i brividi. E con non poca sorpresa, Hinson rientra sul palco per dire che se qualcuno vuole un autografo, lui l’aspetta sotto il palco. In un concerto bellissimo, il pubblico di Roma ha avuto modo di riascoltare e di ammirare la cristallina bravura di un cantautore ormai già nel mito e nei cuori dei sempre più numerosi fan.

A presto, Micah.

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