“Maleficent” di Robert Stromberg

di / 27 maggio 2014

C’è un’idea interessante dietro Maleficent, ultimo film targato Disney che dopo il poco riuscito Alice in Wonderland di Tim Burton e il più recente Il grande e potente Oz di Sam Raimi continua a riproporre i suoi vecchi classici in nuove versioni. L’idea interessante era quella di andare a indagare sulle origini del male incarnato da Malefica, uno dei personaggi più temibili dell’immaginario disneyano, quintessenza concretizzata dell’idea di strega cattiva e terribile.

Giusto l’idea era buona, poco altro.

Tanto tempo fa eccetera, c’era una brughiera popolata di creature magiche e fate poco distante da una grande città di uomini. Nella brughiera regnava l’armonia della natura su cui una giovane fata, Malefica, era incaricata di vegliare volando con le sue grandi ali per assistere animali e piante in difficoltà. Il re degli uomini non sopporta quel potere così grande a pochi passi da lui e promette il suo regno a chiunque gli porterà la testa della fata. Il giovane Stefano, un tempo amico, unico tra gli umani, della fata la trae in inganno drogandola, ma al momento di decapitarla ha un rigurgito di coscienza e decide di reciderle le ali e portarle al sovrano. Stefano succede al trono sposando la figlia del re, prospera e genera una figlia, Aurora. Malefica, intanto, ha smarrito la bontà ed è diventata regina terribile. Il giorno del battesimo fa irruzione nel castello di Stefano e lancia una maledizione sulla neonata Aurora: al compimento del suo sedicesimo anno di vita si pungerà con un arcolaio e cadrà in un sonno da cui solo il bacio del vero amore potrà destarla. La figlia del re cresce lontana dal castello per essere messa in salvo. Le tre fate che la custodiscono si distraggono spesso e alla fine tocca a Malefica prendersi cura di lei, a distanza, fino ad affezionarsi e a non poter fare più a meno di lei. Il sortilegio che ha lanciato, però, è troppo potente perché lei possa pensare di scioglierlo.

Quando Maleficent si coniuga con la versione animata di La bella addormentata nel bosco, cioè nella scena del battesimo che ricalca quasi integralmente il precedente del 1959, un sorriso scappa a chiunque. È l’unico momento, però, in grado di replicare la magia disneyana. Con la sceneggiatura affidata a Linda Woolverton, penna di spicco del recente cinema Disney (La bella e la bestia, Il re leone), e la regia dell’esordiente Robert Stromberg, Maleficent non sa cosa essere, se omaggio al passato, rivisitazione dark/fantasy o semplice, e banale, commedia dei buoni sentimenti. Anziché indagare la natura di Malefica, ingigantendone il titanismo del male e continuando a scolpirla come icona stessa della paura infantile, il duo Stromberg-Woolverton opta per una virata sul buonismo che fa della strega l’unica vera custode della piccola Aurora.

In sostanza il messaggio è che il destino non può essere vinto, che Aurora si pungerà comunque con quell’arcolaio, anche se sono stati distrutti tutti e anche se viene nascosta nella stanza più segreta, e che gli umani sono capaci di cose orribili contro la natura. Malefica, come fata naturale, impazzisce di dolore per il tradimento dell’essere umano che la strappa dal suo essere creatura alata per condannarla alla terra. La vendetta sembra l’unica soluzione ma poi se ne pente e la forma narrativa in cui si concretizza Malefica sembra finire per essere contemporaneamente quella di eroina e antagonista.

Nella confusione di generi, tra battaglie con alberi giganti (ancora una volta), voli in 3D di fate, amori adolescenti che non sono tali e sovrani che rimuginano la colpa in un travaglio shakespeariano da bignami della drammaturgia, si assiste increduli allo stratificarsi di approssimazioni e svuotamenti di senso che conducono a una mezz’ora conclusiva di terrificante velocità.

Pur perfetta come immagine di strega altera, Angelina Jolie non può fare niente per salvare Malefica dal ridicolo. Elle Fanning, per fare un’Aurora che sia sempre lieta e meravigliata, ride. Ride tutto il tempo.

Prima di diventare regista Stromberg ha avuto una prospera carriera come scenografo che gli è valsa due Oscar, nel 2009 per Avatar e nel 2011 per Alice in Wonderland. Molto del bagaglio paesaggistico di Maleficent ricorda, da vicino, il film di James Cameron. Come in quel caso, anche qui, oltre a qualche scenario di magistrale computer grafica c’è poco altro.

(Maleficent, di Robert Stromberg, 2014, fantastico, 95’)

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