“The Congress” di Ali Forman

di / 13 giugno 2014

Primo film di produzione statunitense per il regista, animatore e sceneggiatore israeliano Ami Folman che con The Congress coniuga linguaggi e stili per una critica visionaria del sistema dei grandi studios cinematografici.

Robin Wright, la vera Robin Wright, vive in un hangar in disuso a due passi da un aeroporto insieme ai suoi due figli Sarah e Aaron. Aaron è un bambino fragile afflitto da sindrome di Usher che causa cecità e sordità progressive. È per lui, principalmente, che Robin ha tralasciato negli anni la sua carriera di attrice. Un giorno il suo agente storico Al le presenta la proposta incredibile degli studi Miramount (nome non casuale): cedere per intero i suoi diritti di immagine attraverso una scansione completa del suo corpo e delle sue espressioni per creare una nuova Robin Wright digitale, che possa essere utilizzata per girare film interamente al computer. Dopo un’iniziale perplessità Robin accetta la proposta, acconsentendo anche alla conseguente richiesta di sparire dalla vita pubblica per lasciare spazio ai suoi alter ego virtualii. Vent’anni più tardi, Robin deve partecipare al Congresso futurista organizzato dalla Miramount, intanto fusasi col colosso farmaceutico Nagasaki, per firmare la proroga ventennale della cessione dei diritti. Per accedere al congresso nella città di Abrahama è obbligatorio sottoporsi a un trattamento di allucinogeni chimici che fa vedere, e vivere, il mondo come fosse un cartone animato.

Presentato come film di apertura alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival de Cannes 2013, The Congress segna il ritorno al live action di Ami Folman dopo il successo internazionale di Valzer con Bashir. Certo, è un live action solo parziale, perché The Congress si divide esattamente in due parti, una filmata dal vero, l’altra realizzata come cartone animato. Come per Valzer con Bashir, Folman utilizza l’animazione in maniera anticonvenzionale e spiazzante, per dipingere un mondo lisergico e distopico che è degenerazione della realtà.

La cessione radicale dei diritti di immagine di Robin Wright a favore della Miramount si estremizza e globalizza nel mondo animato di Abrahama. Nell’affollatissimo congresso della Miramount Nagasaki, il guru Reeve Bobs (ricorda qualcuno?) annuncia urbi et orbi la realizzazione della formula chimica della libera scelta, da chiunque assumibile per creare i propri scenari dell’immaginazione. Robin Wright cessa di essere un principio digitale, dopo aver già smesso di essere il principio fisico del mestiere d’attore, per trasformarsi in principio chimico, in elemento da mandare giù con l’acqua o un frullato per poter costruire il proprio film personale nella immaginazione individuale. Quello che la Miramount di Folman realizza è il passaggio dal controllo assoluto dell’immaginazione alla realizzazione di un disturbante solipsismo chimico della libertà. Attraverso i principi in vendita ognuno è libero di diventare quello che vuole, dal dio greco a Clint Eastwood. Si passa dalla cessione volontaria della disposizione di se stessi attraverso il lavoro alla cessione di ogni forma di controllo della propria ragione e immaginazione.

The Congress, basato sul racconto Il congresso di futurologia di Stanislaw Lem, è un film di fantascienza classico, ed è curioso che sia Robin Wright a definirla come non-genere nel film, nella sua struttura che guarda agli standard del cinema distopico.

Quella che nasce come critica del sistema delle grandi case di produzione di Hollywood nella prima parte del film, diventa con l’entrata in scena dell’animazione critica della cessione assoluta del potere dell’immaginazione alla realtà farmaceutica. Estremizzando il ricorso alle droghe legali – antidepressivi, ansiolitici – il mondo di Folman diventa uno scenario di allucinata serenità artificiale, di sintetica rinuncia alle sofferenze quotidiane attraverso l’elevazione a sistema dell’alterazione della percezione.

Ecco, il problema è che nella parte animata, per quanto suggestiva e potente, si accumulano appunto potenti suggestioni che generano una visionarietà eccessiva e confusa. Molto più compatta e tesa la parte iniziale, in cui Folman si mostra bravissimo a dirigere i suoi interpreti (Robin Wright è di rara intensità. Harvey Keitel costruisce un Al memorabile, soprattutto nel racconto dell’infanzia newyorkese) e pienamente consapevole di una tecnica registica semplice ed efficace.

(The Congress, di Ali Forman, 2013, fantascienza/animazione, 122’)

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