“Mai così vicini” di Rob Reiner

di / 8 luglio 2014

È un maestro delle commedie sentimentali, Rob Reiner, sin dal successo straordinario di Harry ti presento Sally nel 1989, divenuto un punto di riferimento rosa per molto cinema a venire per più di un motivo, per proseguire con Il presidente – Una storia d’amore nel 1995. Con Mai così vicini Reiner unisce i sentimenti a un altro tema già di recente al centro del suo cinema in Non è mai troppo tardi: la terza età e le occasioni che ancora può regalare.

Oren è stato per anni il miglior agente immobiliare della contea di Fairfield. Un’istituzione, un pezzo grosso, poi però le cose hanno iniziato a rotolare. Sua moglie si è ammalata di cancro, lui si è ritrovato a doversi prendere cura di lei mentre il figlio sapeva solo iniettarsi eroina. Quando la donna da sempre amata è morta, Oren è cambiato, si è chiuso in se stesso, è diventato ostile. La vita a Fairfield non è più possibile, si tratta di vendere la grande casa dove aveva sempre vissuto con la famiglia e poi ritirarsi in Vermont, un ultimo affare prima di cambiare vita. Quello che non può prevedere è che il figlio torni per affidargli una nipote abbandonata dalla madre che neanche sapeva di avere, che si chiama Sarah come la nonna, prima di andare in carcere per pagare una colpa che non ha ma è che facile fargli cadere addosso anche ora che si è disintossicato. Incapace di badare alla bambina, Oren trova un aiuto prezioso in Leah, vicina di casa nel complesso, di sua proprietà, in cui Oren si è ritirato in attesa del Vermont, anche lei vedova, anche lei sola, anche lei inconsolabile. I rapporti tra i due sono tutt’altro che buoni, ma poco alla volta, grazie alla bambina, si ritroveranno sempre più vicini.

Mai così vicini si infila in un sottogenere cinematografico che ha il precedente più illustre in quel Voglia di tenerezza che nel 1983 riuscì a conquistare cinque premi Oscar tra cui miglior film e miglior regia: la commedia sentimentale over 45, per adulti, per quasi anziani o per anziani. Il tema generale è che la vita riserva possibilità sentimentali anche quando non sembra più possibile, che è sempre possibile innamorarsi come ragazzini. A reggere la trama d’amore sono chiamati di solito grandi attori che sanno reinventarsi in ruoli leggeri. Ne hanno fatti tanti, di film così, fino al recente È complicato, o lo stesso Mamma mia!, per rimanere su Meryl Streep. Jack Nicholson ha saputo vincere due volte l’Oscar interpretando storie sentimentali, prima per Voglia di tenerezza, poi quattordici anni più tardi per Qualcosa è cambiato, non interamente ascrivibile al sottogenere ma con più di un elemento in comune, soprattutto nell’idea generale della rinascita attraverso l’amore.

Oren Little, il personaggio principale di Mai così vicini, sembrerebbe preparato apposta per il Nicholson da commedia. Sarà la misantropia, la scorrettezza, la viziosa pigrizia, sarà che alla sceneggiatura è stato chiamato Mark Andrus che già aveva scritto Qualcosa è cambiato. Comunque, non è Nicholson a interpretarlo. Tocca a Michael Douglas, risorto dopo la brutta malattia e al terzo ruolo in questa stagione dopo Last Vegas e, soprattutto, Dietro i candelabri. Al suo fianco c’è Diane Keaton, che torna a interpretare una cantante di locali trentasette anni dopo Io e Annie. La coppia fa il novanta per cento del film, con il suo carisma e la sua capacità di prendersi in giro con leggerezza. Leah, fragile, insicura ma forte nel contrastare l’insopportabile Little, conferma Diane Keaton in un ruolo relativamente classico nella sua carriera. Douglas, con lo spettro del paragone con Nicholson che sembra aleggiare sul film, riesce a dosare l’istrionismo per evitare il rischio dell’imitazione. Il suo Oren è sempre attraversato da una vena di dolore, dal desiderio brusco di strappare con la vita precedente, dalla casa, dal figlio che lo ha deluso, dalla nipote che gli ricorda di essere stato marito e padre.

Per il resto Mai stati vicini riesce a non insistere eccessivamente sul sentimentalismo di facile presa. Reiner e Andrus buttano dentro un po’ troppi drammi – la malattia, i lutti, la droga, gli abbandoni, le delusioni – alla ricerca di facili seduzioni sul pubblico. Niente di incredibile o indimenticabile. Offrendo una variazione su un tema noto ci si aspetta qualcosa di più della semplice prova degli interpreti – che è il minimo sindacale per progetti del genere. Mai stati vicini non riesce a offrire quel guizzo in più, la trovata briosa, la scena, brevemente, memorabile. Solo garbo, scorrettezza e confezione, niente di più dell’appena sufficiente.

(Mai così vicini, di Rob Reiner, 2014, commedia, 94’)

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