“La roccia viva”
di Matteo Sartori

Il complesso ritratto di una classe sociale

di / 10 marzo 2015

Tre mondi vicinissimi e lontanissimi ma comunque unici e uniti sono quelli dei tre protagonisti del romanzo di Matteo Sartori, La roccia viva (ISBN, 2014), tre ragazzi adolescenti nella “Milano da bere” degli anni Ottanta.

Chiara Novo è un avvocato penalista agguerrita e determinata, deontologicamente senza scrupoli.

In breve, partita dalla sua Torino, si ritrova a essere «la donna più ascoltata e pagata di un prestigioso studio legale di Milano», quello dell’avvocato Carlo Velo, suo mentore, amante e allo stesso tempo figura paterna (suo padre, anche lui Carlo, era stato ucciso nel 1990 dai brigatisti).

Michele Tenzoni, skyrunner per passione, è il figlio di Sergio Tenzoni, il padrone della StarGas, «il suo impero di combustibili» che aveva costruito dal niente «lavorando diciotto, venti ore al giorno. Un cowboy dal pugno di ferro sulla linea di frontiera del far west brianzolo degli anni Sessanta, aveva tirato su il primo capannone in una notte. In un’alba da meno cinque, protetto dalla nebbia, aveva messo giù l’eternit del tetto da solo e ora tutto, la villa, la piscina, l’appartamento a Montecarlo, la casa in Svizzera di fianco a quelli che contavano a Milano e a Como, le sette Ferrari nella rimessa, i foulard di sua moglie, tutto parlava della sua determinazione. La stessa che pretendeva da suo figlio nato con il culo nel burro».

Michele subisce suo padre. Suo malgrado si trova alla guida dell’azienda ma la sua estraneità alle logiche di denaro a discapito perfino delle norme sulla sicurezza, lo rendono inquieto e alienato dalla ricchezza aggressiva del suo mondo.

L’alpinismo con i ghiacciai e i moschettoni, gli strapiombi e le impervie salite rappresenta per lui l’unico momento in cui sentirsi calato in una dimensione archetipica dello spirito, una dimensione che trascende il concetto stesso di sport estremo.

La natura, madre e matrigna, affranca dalla sua ipocrita e meschina realtà quotidiana Michele, che solo nelle escursioni sulle vette, pericolose e catartiche, sembra esplorare l’agognata libertà dal suo status sociale, di essere “figlio di”: «L’idea di tornare a vendere gas al fianco di suo padre e di sua sorella lo gettava, come da bambino, in uno sconforto rasente la depressione, con il risultato che appena aveva un’ora libera tornava ad allenarsi con ancora più forza, sottoponendo il suo corpo a supplizi pericolosi».

Rudi Valenti, artista maledetto dell’alta borghesia milanese, avvolto da ombre inquietati quali la morte del fratello tossicodipendente, è un fotografo dal «talento tormentato» e dall’«ego disturbato» che gli fa fare battute per esorcizzare la sua più profonda sofferenza e i suoi sensi di colpa.

Chiara rimarrà stregata dal suo fascino selvaggio capace di momenti di romanticismo estremo ma anche della più volgare cattiveria quando è sotto l’effetto di alcol e droga: «Chiara ne aveva potuto constatare di persona la varietà, e grazie a Rudi aveva toccato punte di irritazione e divertimento uniche».

A nulla servono i tentativi dell’amica Livia di proteggerla da questa relazione pericolosa: «Non dovresti mai permettere a nessuno di farti ombra».

Poi c’è il rogo: in sei minuti i contorni del capannone della StarGas, non più netti, vengono come smangiati dai piccoli morsi della densa atmosfera rovente, cedono qualcosa di loro stessi all’aria, subiscono una specie di liquefazione.

È la fine per Sergio Tenzoni. È l’inferno in terra. Tre operai rimangono uccisi fusi insieme a metalli e minerali e un quarto ferito per sempre nel fisico e nella mente. Uno dei lavoratori, un saldatore, è rimasto carbonizzato a metà, la metà inferiore intatta con i jeans puliti e le scarpe nuove comprate con i risparmi di un misero salario.

A questo punto entra in scena l’avvocato Chiara Novo. In aula sembra un’attrice, fredda e scrupolosa, con passione e parole ricercate difende le vittime e il sopravvissuto. È un successo nonostante la campagna denigratoria intentatale da una stampa corrotta.

È qui durante l’arringa forense che i destini dei tre protagonisti si intrecciano.

Alla fine si ritroveranno tutti e tre in montagna, protetti, coccolati, quasi a disintossicarsi dalla battaglia quotidiana delle proprie miserie e debolezze, spettatori di questo universo antropologico dove ognuno può respirare l’aria del proprio essere più vero.

Ma la montagna sa anche essere crudele con le sue bufere e asperità. Vincitori e vinti ne escono comunque cambiati come Castorp nella tormenta di neve della Montagna incantata di Thomas Mann.

La scalata serve ad avvicinarsi ai problemi e ai pericoli, entrarci in confidenza, imparare a superarli ed esorcizzarli.

Con un linguaggio molto ricercato ricco di metafore ardite, lontano dalla prosa piatta e standardizzata di tanta narrativa contemporanea, Matteo Sartori ci narra lo smarrimento di personalità estromesse e corrose dal dolore facendo un esame della condizione di un’elevata borghesia milanese fragile e meravigliosa, vana e tuttavia preziosa.

Il finale è aperto e vede Michele, Chiara e Rudi guardare senza illusioni a un futuro pieno di incognite.

(Matteo Sartori, La roccia viva, ISBN, 2014, pp. 320, euro 19)

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LA CRITICA

La roccia viva del titolo si configura come una grande metafora di una giovinezza non totalmente ancora delusa e travolta dal male di vivere. Ma Sartori ci regala un romanzo tormentato e di non facile lettura. La media voto è abbassata da uno stile a volte eccessivamente artificioso e colto, che toglie spontaneità e verosimiglianza ai personaggi.

VOTO

7,5/10

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