“Chi è senza colpa”
di Michael R. Roskam

L’ombra del passato su una New York senza alcun fascino

di / 20 marzo 2015

C’è una New York diversa dalla grande città romantica, dai quartieri alla moda e dagli hipster in bicicletta che al cinema non si vedeva da un po’. È quella New York fatta di bar e di vari livelli di delinquenza, di peccati che pesano sulle spalle e di uomini soli in cerca di assoluzione che torna a essere raccontata in Chi è senza colpa, titolo scellerato scelto dai distributori italiani per l’esordio statunitense del belga Michael R. Roskam.

Il titolo originale sarebbe The Drop, la consegna, perché è intorno alle consegne di denaro da riciclare che la mafia cecena fa nel bar dei cugini Marv e Bob che tutto si sviluppa. Un tempo il bar era di Marv, ma lo ha dovuto cedere alla malavita per una serie di debiti. Secondo l’insegna è ancora suo, ma è solo un prestanome, un galoppino per le esigenze del figlio del boss. Bob vuole solo lavorare al bancone, evita ogni tipo di problema, si fa gli affari suoi. Una notte c’è una rapina e i ceceni non la prendono bene. Soprattutto, se la prendono con Marv che non fa abbastanza per capire chi è stato, mentre Bob aiuta come può. Ha i suoi problemi anche lui, perché una sera tornando a casa trova un cucciolo di pitbull ferito e abbandonato in un bidone della spazzatura, proprio davanti casa di Nadia, una cameriera sola e intimorita perseguitata da un ex poco equilibrato che finisce per tormentare anche Bob

Perché Chi è senza colpa è un titolo scellerato? Perché anticipa troppo, senza bisogno. Tutti quanti i protagonisti hanno vari tipi di colpe (appunto) che pesano sulle loro spalle. Marv ha i debiti che gli hanno fatto perdere il bar, Nadia un passato da tossica che gli ha distrutto la vita. Anche Bob, sempre dimesso e calmo, ha una colpa che lo porta a messa tutte le mattine e che lo ha fatto isolare dagli altri, chiudendolo in un mondo fatto solo dalla casa, dalla chiesa e dal bar. Ha una doppia natura, quella più pericolosa e nascosta. Ognuno si confronta e convive con la colpa privata che si svela un poco alla volta fino alle rivelazioni che determinano il finale e cambiano lo sguardo su tutto. Non era necessario anticipare, fornire allo spettatore una chiave di lettura sin dal titolo.

È chiaro: una scelta simile non pregiudica la qualità della visione. Chi è senza colpa è un film di solida tenuta narrativa, che guarda a molto cinema anni Settanta, all’ultimissimo Sydney Lumet di Onora il padre e la madre, ma anche al miglior Rocky, il primo. Perché Bob, interpretato dal sempre ottimo Tom Hardy, è tutto silenzioso e timido, goffo con Nadia, incapace e intenerito con il cane, sottomesso dal cugino senza farci troppo caso. Non trova il riscatto sul ring, non ne ha bisogno. La sua è una rinuncia a ogni tipo di ostilità, a ogni possibilità di vita per il peso che si porta sempre appresso. È attraverso il cane e Nadia che Bob torna a cambiare. In modo opposto per l’evoluzione, Chi è senza colpa assomiglia anche al recente John Wick, anche se lì il cane faceva riscoprire la necessità della violenza e qui quella dell’umanità.

Lo sceneggiatore Dennis Lehane continua a parlare di vite criminali e della presenza costante del male come già aveva fatto nei suoi romanzi portati con successo al cinema (Mystic River, Gone Baby Gone, in una forma diversa Shutter Island). Partendo dal suo racconto breve Animal Rescue ha costruito questa volta una storia in cui vale di più quello che non viene raccontato di quello che si mostra sullo schermo, il passato dei vari personaggi più che il presente che si trovano a vivere. Ognuno nasconde una natura che non vuole rivelare: il passato da tossica di Nadia, il rancore di Marv per il bar perduto, il segreto che si fa sempre più urgente di Bob. Persino Eric Deeds, l’ex che tormenta Nadia e Bob, cerca di resistere alla sua natura psicotica e a mostrarsi diverso.

Ogni cosa è diversa da quella che appare, come la New York costruita dal regista Michael R. Roskam, belga alla prima produzione statunitense dopo la nomination all’Oscar per il miglior film straniero nel 2011 per Bullhead (da recuperare). Sfruttando il suo sguardo da estraneo, Roskam mostra una città diversa da ogni seduzione cinematografica, lontana da qualsiasi posto riconoscibile dell’immaginario comune. Manhattan si intravede solo dall’altra parte del fiume, è distante, senza ponti che la colleghino alla Brooklyn grigia e fredda del bar di Marv. Non ci sono grattacieli, non c’è grandezza. Le case sono basse e semplici, i parchi sono pezzi di terra brulla. I personaggi si muovono in un posto a cui non appartengono, in un Natale che non ha niente di natalizio, niente di festoso. Non è un caso che Chi è senza colpa sia un film di stranieri in America, non tanto i personaggi, che hanno vaghe ascendenze (Bob fa di cognome Saginowski), quanto proprio gli attori: inglese Tom Hardy, svedese Noomi Rapace (Nadia), belga Matthias Schoenaerts (già attore feticcio di Roskam), italo americano James Gandolfini (alla sua ultima apparizione, con quell’aura costante da boss). A rimarcare la distanza da una città, da un paese, che non è affatto la terra dei sogni.

(Chi è senza colpa, di Michael R. Roskam, 2014, drammatico, 106’)

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LA CRITICA

La colpa, il passato, il riscatto. Sotto l’apparenza del film di genere Dennis Lehan e Michael R. Roskam riflettono sul comportamento umano con freddo e duro realismo.

VOTO

7/10

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