“I dirimpettai”
di Fabio Viola

Una satira feroce del mondo di oggi

di / 6 maggio 2015

I dirimpettai sono «esseri privi di difetti fisici che si muovono tra stanze invisibili arredate con gusto». Sembrano «appena partoriti da un dio pagano». Sono cinici e bellissimi, non mangiano carboidrati, solo verdure crude, bevono estratti e tracannano alcol ogni volta che possono, ma con stile. Hanno un enorme televisore su cui guardano i programmi di Real Time per prendere in giro gli obesi che provano a dimagrire. Hanno una palestra personale per essere in forma sempre, e una cameriera che sopporta tutto e che continuano a schiavizzare.

I dirimpettai sono due, sono omosessuali, uno è più anziano, più maschio, è un pezzo grosso della Rai, anche se non si capisce mai cosa fa. È stato sposato, ha un figlio che vede poco e che ama in maniera esclusiva, una sorella cretina vittima di ogni nuova moda new age con marito gretto e figlia cresciuta male. L’altro dirimpettaio è giovane, più gay nell’aspetto e nei modi, è stato preso come protetto dall’anziano, viene trattato male, non sa bene cosa fare della propria vita. Aggiorna Facebook e Twitter in continuazione. Si propone come autore di programmi ma viene preso in giro. Il compagno minaccia di mandarlo a La7, che è come minacciare di morte.

Dei dirimpettai noi lettori sappiamo tutto, solo che non sappiamo chi sia, il dirimpettaio, quello dall’altra parte, quella mano che si vede appoggiata alla balaustra nella copertina del nuovo romanzo di Fabio Viola pubblicato da Baldini & Castoldi, entrato nella selezione dei ventisei titoli candidati al Premio Strega 2015. È un osservatore invisibile quello che racconta la storia dei due dirimpettai – chiamati sempre così, i dirimpettai – un occhio sempre presente che si insinua oltre le finestre, che sente tutto, che arriva in ogni stanza.

L’appartamento dei dirimpettai è un po’ il Panopticon di Bentham, sempre spiato in ogni angolo da uno spettatore/guardiano invisibile, un po’ il set di una sit-com che non va in onda su nessun canale. Del resto, c’è un set fisso formato da pochi ambienti che ritornano, senza esterni, se non i balconi, proprio come in televisione, ci sono le battute fulminanti e anche i personaggi sono gestiti e costruiti come se fossero i protagonisti di uno spettacolo tv: c’è il cast fisso – la coppia –, i recurring characters – la sorella e la sua famiglia, le due domestiche – e le guest star, personaggi reali e celebri che “interpretano” una versione simbolica di loro stessi, un’estremizzazione dei caratteri pubblici dei personaggi della post-realtà, «quasi veri, condensatori di fantasmi», come li definisce Viola in apertura riprendendo Walter Siti. Così, c’è l’ex sindaco Gianni, depresso dopo la sconfitta alle elezioni contro uno che sembra «un prete cinese». C’è il giornalista Corrado Augias che va avanti a citazioni e confonde Gramsci con Mussolini.

La Roma che si intuisce al di fuori del lussuoso appartamento è una Roma Nord necessaria come luogo simbolo del potere, non solo televisivo. Perché Fabio Viola con la sua sit-com letteraria riflette attraverso la lente della satira aggressiva sulle possibilità della manipolazione del reale a opera del potere, sulla costruzione di realtà consolatorie che la televisione opera ogni giorno per mascherare il vuoto delle vite (anche di chi la fa, la televisione, come i due dirimpettai), piena di programmi inutili fatti apposta per far sentire migliori gli spettatori che non hanno niente di cui parlare tra di loro e preferiscono «compatire quegli storpi perché non essendo deformi come loro ci sentiamo privilegiati e ci viene voglia di comprare cose».

La secolare dialettica tra essere e apparire ha trovato ormai da anni un nuovo elemento di confronto nell’ostentazione, resa sempre più semplice e diffusa dalle nuove frontiere della comunicazione digitale. I pranzi fotografati per Instagram, le serate in discoteca che finiscono su Facebook, i check-in virtuali non appena si entra in un locale, le opinioni esposte a ogni ora su Twitter sono sguardi costanti gettati sulle vite degli altri. Lo spettatore invisibile di Viola osserva la vita dei dirimpettai come se il loro appartamento fosse la bacheca del loro perenne social network, li spia con voyeuristica determinazione non solo come se si trattasse di personaggi di una sit-com ma come se fossero suoi amici virtuali, contatti in un elenco di contatti.

Con ironia feroce, Fabio Viola spia la vita dei dirimpettai come se fossero i protagonisti di una sit-com o di un reality show, come se il loro appartamento fosse un unico set o palcoscenico virtuale su cui ostentare il nulla. E il lettore gli va dietro, come lo spettatore che manda giù compulsivo le puntate di uno show, una dietro l’altra.

(Fabio Viola, I dirimpettai, Baldini & Castoldi, 2015, pp. 191, euro 16)

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LA CRITICA

Oltre la televisione, oltre il libro, Fabio Viola con I dirimpettai ha sintetizzato un mondo di superfici opache, di vuoti che si muovono insieme nel vuoto. C’è tanta amarezza, ma è irresistibile.

VOTO

7,5/10

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