“Il racconto dei racconti”
di Matteo Garrone

Tra fiaba e fantasy un grande film dal regista di Gomorra

di / 12 maggio 2015

In un mondo diverso, tre regni e tre famiglie reali sono sconvolte dalle loro ossessioni. Nel regno di Selvascura la regina è disperata perché non riesce ad avere un figlio. Su suggerimento di un mago, il re affronta un drago marino per strappargli il cuore da dare in pasto alla moglie. Muore nella battaglia, ma la donna ha il cuore e con esso il figlio tanto atteso. Ma il neonato non è solo: ha un gemello da madre diversa a cui è legato da un legame più forte di quello che lo stringe alla madre. Nel regno di Roccaforte, il re è abituato a qualsiasi tipo di piacere sessuale. Un giorno sente una donna cantare nei vicoli del villaggio e subito se ne innamora. Ignora che si tratti di una vecchia che, con l’aiuto della sorella, riesce a ingannarlo e ad andare a letto con lui. Scoperto l’inganno, il re la fa gettare dalla finestra e la vecchia rinasce come una bellissima giovane. Nel regno di Altomonte, il sovrano alleva una pulce fino a farla diventare grande come un maiale. Quando l’animale muore decide di dare in sposa la propria figlia a chiunque sarà in grado di indovinare a chi appartenga l’enorme pelle che ha fatto asportare dall’insetto.

Ha avuto un coraggio enorme Matteo Garrone a lanciarsi in un’impresa come Il racconto dei racconti. I suoi due film precedenti, Gomorra Reality, gli avevano garantito un certo credito internazionale (per entrambi era arrivato il Gran Premio della giuria a Cannes, oltre a una raffica di altri premi) ma allo stesso tempo avevano contribuito a definire un’idea precisa del suo cinema, legata a un’adesione alla realtà che si limitava a contaminarsi di elementi fuori registro, tra la fiaba e il grottesco. C’erano degli elementi favolistici già in L’imbalsamatore, c’è un’ossessione per i corpi “speciali” che attraversa il cinema di Garrone, un’attenzione alle magrezze (Primo amore) o al grasso o a qualsiasi deviazione dalla normalità, ma sono sempre rimasti in secondo piano. Con il suo nuovo film ha deciso per lo strappo netto e totale rispetto al suo cinema abituale e ha deciso di lanciarsi in un esperimento che in Italia sa quasi di follia. 

Prima di tutto, è andato a recuperare un testo del ’600, Il racconto dei racconti di Giambattista Basile, anzi, Lo cunto de li Cunti, visto che la sua versione originale è in dialetto napoletano (o lingua). È un testo amato da pensatori importanti come Croce e Calvino, che ha lasciato un’impronta molto più profonda nell’immaginario fiabesco mondiale di quello che la tradizione gli riconosca in maniera esplicita (anche i Grimm hanno preso da Basile), ma che ai più è praticamente sconosciuto. Eppure ha deciso di partire da lì, da tre delle cinquanta novelle che compongono questo Pentamerone, e soprattutto ha deciso che a interpretarle sarebbe stato un cast internazionale e che il film sarebbe stato in lingua inglese.

Attori internazionali (Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Stacy Martin, ma anche Alba Rohrwacher e a sorpresa Massimo Ceccherini), ma cast tecnico italiano, che è un’altra scelta coraggiosa. Perché a parte Peter Suschitzky, già direttore della fotografia per Cronenberg, e il premio Oscar Alexandre Desplat, che aveva già realizzato la colonna sonore di Reality, che fanno un lavoro enorme, l’apparato scenico è affidato ai costumi di Massimo Cantini Perrini, alle scenografie di Dimitri Capuani, agli effetti speciali guidati da Leonardo Cruciano, che insieme hanno creato un mondo fantastico sorprendente, aiutato dalle location scoperte o riscoperte su e giù per l’Italia. In qualche modo, Garrone e i suoi hanno fatto col nostro paese quello che aveva fatto Peter Jackson con la Nuova Zelanda, offrendola nuova ed evocativa alla telecamera.

Il coraggio più grande, però, Garrone lo ha dimostrato scegliendo di misurarsi con un film di genere, e per di più di un genere che a oggi in Italia sembra irrealizzabile come il fantasy. Come è ovvio, Il racconto dei racconti non ha tutti gli stilemi del moderno cinema fantastico, manca la dimensione dell’eroe, del duello, l’azione e via discorrendo. Del resto, a Garrone non interessava infilarsi del tutto in un genere ma realizzare il suo film con la sua precisa idea di cinema, come è giusto per il grande autore che continua a dimostrare di essere, ma rimane comunque il confronto con tutto quello che il genere impone. Il regista ha dichiarato più volte che Il trono di spade ha costituito un modello ideale. Si vede, in alcuni momenti, ma si vede anche l’esperienza di pittore di Garrone, l’influenza dei Capricci di Goya e di quello di fantastico che il cinema italiano ha saputo offrire negli anni: Fellini, Pasolini, il Pinocchio di Comencini, ma anche l’orrore di Mario Bava.

Il racconto dei racconti è il momento filmico in cui si esplicita pienamente il fascino che la fiaba ha sempre esercitato su Garrone. Sublimato in elementi simbolici nei suoi film precedenti, qui il fiabesco si esprime in tutta la sua evidenza. Dietro ai racconti si muovono gli archetipi della narrazione allegorica. Il racconto dei racconti si sofferma su tre momenti diversi dell’essere donna e sulle relative ossessioni: quella della maternità per la regina di Selvascura, quella del matrimonio per la principessa di Altomonte, quella della giovinezza per la vecchia di Roccaforte. Davanti ci sono orchi, maghi, streghe, gemelli albini, pipistrelli giganti, draghi marini, funamboli e mangiatori di fuoco. Garrone, con una maestria che si può tranquillamente definire artigiana per il coraggio, ancora, di mantenere il suo film a un livello materiale, preferendo l’effetto empirico alla post produzione digitale, riesce a muovere insieme i due livelli e a fare un grande spettacolo.

(Il racconto dei racconti, di Matteo Garrone, 2015, fantastico, 128’)

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LA CRITICA

Regni lontani, draghi, streghe. Uno dei più importanti registi del cinema italiano approda al fantasy con tutta la consapevolezza del grande autore. Il risultato è uno spettacolo puro, sorprendente per la qualità tecnica della realizzazione e con una narrazione profonda e piena di sfumature tra l’allegoria e il simbolo.

VOTO

8/10

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