“Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II”
di Francis Lawrence

L’ultimo capitolo della saga di Katniss

di / 20 novembre 2015

Hunger Games, la saga di film fantascientifici tratta dai romanzi per “giovani adulti” di Suzanne Collins, arriva alla sua conclusione dopo quattro episodi cinematografici e una serie di novità di non poco conto introdotte nella logica delle grandi produzioni hollywoodiane. Dopo l’insipido Il canto della rivolta – Parte I, arriva quello che è a tutti gli effetti l’ultimo capitolo della serie, quello degli scontri risolutivi e delle verità rivelate.

Eravamo rimasti, dopo la conclusione dei settantacinquesimi Hunger Games, a Katniss che si unisce alla ribellione guidata da Alma Coin con base nel dimenticato Distretto 13, mentre Peeta veniva rinchiuso a Capitol City e sottoposto a vari tipi di torture. Quando i ribelli riescono a liberarlo, Peeta non è più lo stesso, al punto di aggredire Katniss arrivando quasi a ucciderla a mani nudi. Gli uomini del presidente Snow gli hanno fatto il lavaggio del cervello fino a convincerlo che Katniss sia il male assoluto. Eppure, Peeta serve alla ribellione, anche così, instabile nei suoi impulsi e nelle sue convinzioni. Serve perché mentre viene sferrato l’attacco finale a Capitol la gente deve vederlo lì, accanto ai leader della rivolta e a Katniss, nei video di propaganda che vengono mandati per tutta la città, per ricordare che Snow è un dittatore da ribaltare per tornare alla libertà. Katniss non si fida più di lui dopo l’aggressione ma sente ancora il dovere di proteggerlo, e mentre porta avanti una missione privata per eliminare il Presidente capisce tante cose di Coin e del senso stesso della rivolta.

Quando un ciclo arriva alla conclusione è doveroso fare un bilancio che vada oltre la pura e semplice fine e abbracci in senso più ampio l’intera operazione. Con quattro film distribuiti tra il 2012 e il 2015, Hunger Games è uno dei pochi franchise – come si dice adesso – cinematografici di grande successo degli ultimi anni che non sia un reboot o un cinecomic. Non si è trattato, però, di un successo esclusivamente commerciale. La saga targata Lionsgate ha cambiato alcune regole del mercato. Prima di tutto ha dimostrato che un film fantasy/fantascientifico con protagonista una donna vende bene, molto bene. Certo, la donna in questione è un talento che nasce poche volte come Jennifer Lawrence, la migliore attrice di quest’epoca senza dubbio, capace di essere credibile anche in contesti lontani dal realismo come quelli di Hunger Games. Jennifer Lawrence o no, dopo Katniss sono arrivate una serie di altre eroine da grande schermo per cavalcare l’effetto traino, dalla saga di Divergent fino al prossimo attesissimo Star Wars: Il risveglio della forza di cui si sa pochissimo, e di quel pochissimo si sa che tra i protagonisti c’è una giovane donna.

Accanto a Jennifer Lawrence, la novità grossa di Hunger Games è stata quella di formare un cast che unisce giovani attori a interpreti già famosi per ogni ruolo. Per il mondo di Panem sono passati in ordine sparso Donald Sutherland, Philip Seymour Hoffman (che appare anche in questo ultimo capitolo grazie alla computer grafica), Julianne Moore, Lenny Kravitz, Elizabeth Banks, Woody Harrelson. Non un gruppo di comprimari anonimi, quindi, accanto ai protagonisti, ma attori di primo piano disposti a ruoli di contorno.

La centralità della protagonista femminile, inoltre, ha portato una serie di novità anche nella struttura dei rapporti. Katniss non è una dama in difficoltà che deve essere salvata dal principe azzurro, al contrario in caso. È lei a salvare Peeta, è lei a guidare la rivolta e a decidere il futuro di Panem, andando oltre la consueta rappresentazione dei generi. È lei a scegliere chi amare.

Oltre i personaggi, poi, Hunger Games ha saputo raccontare la società dell’immagine di oggi, in cui tutto è spettacolo e mostra, in cui ogni momento è propaganda, in cui la realtà esiste solo se è documentata in video. In sostanza, l’impatto che ha avuto la saga di Katniss ha cambiato le logiche commerciali introducendo, anche, un elemento di riflessione e di analisi della società contemporanea. Spettacolo puro, quindi, però con qualcosa in più, in grado di conquistare non solo il pubblico di più giovani per cui è pensato.

Il canto della rivolta – Parte II riesce a recuperare il livello a cui avevano abituato i primi due capitoli della saga. La divisione in due parti di questa conclusione ha finito comunque per indebolire questo secondo episodio che risente, al contrario del precedente, di un’eccessiva contrazione dei tempi narrativi per far succedere tutto quello che deve ancora succedere. Se si riesce a sopportare questa gestione del cinema che va oltre anche l’effetto serie tv ormai dilagante (il film inizia esattamente dove si era interrotto il precedente, senza introduzione, senza un minimo di riepilogo), si rimane di fronte a un intrattenimento di alto livello, con alcuni momenti in cui si intravede anche grande cinema – l’attacco degli Ibridi nei sotterranei è girato con una grandissima capacità di gestire la tensione dello spettatore –. Sotto traccia, si continua a sviluppare la riflessione sulla vera natura del potere e sulla sua rappresentazione, vera arma segreta di tutta la saga di Hunger Games.

(Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II, di Francis Lawrence, 2015, avventura, 136’)

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LA CRITICA

Con quattro film in quattro anni, la saga di Hunger Games arriva alla sua conclusione. La divisione in due parti del capitolo finale ha garantito un raddoppio degli incassi ma ha indebolito la struttura narrativa solida che aveva caratterizzato i primi due capitoli, ma la storia di Katniss e Panem rimane uno dei momenti di cinema di largo consumo più interessante degli ultimi anni.

VOTO

6,5/10

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