“Vite minuscole”
di Pierre Michon

Il romanzo barocco di uno dei migliori scrittori francesi

di / 24 ottobre 2016

Copertina di Vite Minuscole su Flanerí

Di Vite minuscole, libro d’esordio di Pierre Michon, uscito in Francia nel 1984, si è parlato a lungo da più parti ma solo da poche settimane il romanzo è arrivato in Italia grazie ad Adelphi (il traduttore, bravissimo, è Leopoldo Carra).

Michon è romanziere sui generis, maestro di una narrazione minuziosa e assidua nella ricerca della precisione del dettato. Vite minuscole rinvia – secondo una tradizione minore più per celia che per convinzione – ai personaggi che lo popolano, per lo più di provenienza rurale e dal destino impegnativo quando non tragico.

L’origine è la stessa di Michon, il quale costruisce il libro attraverso otto biografie (immaginarie ma non troppo, trattandosi spesso di conoscenze empiriche dell’autore, parenti in prevalenza). Sono storie in cui i fatti contano – per fortuna – non più della scrittura, traccia piuttosto di una trama segreta che nelle più elusive ragioni di ogni singola vita (di un carattere, di una disposizione emotiva) cifra un cammino iniziatico del loro inventore.

Come lo stesso Michon ha dichiarato in più occasioni, con questo romanzo-mosaico ha potuto allentare la morsa dei dubbi, dei tentennamenti a rischio di velleitarismo che avevano seguito cupamente le sue fatiche di scrittore. Il che a un lettore medio potrebbe interessare fino a un certo punto, se non fosse che Vite minuscole conferma quanto per la maggiore parte degli scrittori veri sia necessario passare – e molti ci restano, non necessariamente sbagliando – per il proprio mondo originario. Lo stesso, nel caso di Michon, che lo ha tenuto per molto tempo ai margini della società letteraria e ai limiti dell’indigenza. Mondo-protagonista del libro se è vero che ogni vita procede dentro quello spazio, concentrata in poche pagine (Michon dichiara apertamente di prediligere le forme brevi), umbratile ma a suo modo accanita, spesso tesa verso una qualche forma di riscatto – anch’essa una sorte che Michon biograficamente condivide con i suoi personaggi (un po’ come la connazionale – da noi assai più nota e, a parere di chi scrive, meno convincente – Annie Ernaux).

Ma l’empatia di Michon è ingannevole (non falsa): non invita il lettore a una banale e ricattatoria compartecipazione delle disgrazie altrui ma le inscrive (letteralmente) in un disegno di prodigiosa fattezza stilistica. Una ricchezza di scrittura che va saggiata con pazienza, inadatta a un lettore frettoloso, capace di creare una realtà in apparenza fantasmagorica – virtù di una lingua barocca fino al concettismo (e, quali siano le vite implicate nel racconto, barocco è il repertorio di segni ricorrenti: ombre, deliri, sogni, specchi, “presenze truccate”, sfide impossibili…). Si tratti della sorella scomparsa da piccola, o di un bambino partito alla volta dell’Africa in cerca di un personalissimo, delirante miraggio, dei nonni perduti e colpevolmente negletti, o ancora di un prete ubriacone, Michon esibisce una maestria quasi pittorica non al servizio della meraviglia ma di un’intimazione ultima, nella quale ciò che è in gioco è la sopravvivenza almeno simbolica dei personaggi. Come nello splendido racconto – assai borgesiano a dire il vero – in cui il narratore, ubriaco, decide di vedersela con uno spaccone, un dongiovanni da taverna, per smontarlo da capo a piedi, salvo, una volta finito in ospedale per i cazzotti dell’altro, riconoscere in un vecchio deciso a rifiutare le cure dei medici un destino pericolosamente simile al suo: quello di chi teme – ed evita – il confronto con una lingua, un sapere, superiori ai propri. Lo stesso rischio che Michon dovette affrontare quando mise in gioco la propria parola di scrittore fra quella degli altri. Rischio mortale ma l’unico in grado di salvarlo.

 

(Pierre Michon, Vite minuscole, trad. di Leopoldo Carra, Adelphi, 2016, pp. 204, euro 18,00)
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LA CRITICA

Otto storie a comporre un romanzo-mosaico di ombre e solitudini, vite perdute ma tese fino alla spasimo di poveri cristi sottratti all’oblio da una scrittura vertiginosa.

VOTO

8/10

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