“I custodi di Slade House”
di David Mitchell

Il nuovo romanzo dell’autore di “Cloud Atlas”

di / 20 febbraio 2017

Non sempre abbiamo la capacità di determinare il nostro destino. Basta trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato e tutto finisce. O meglio sparisce. I custodi di Slade House (Frassinelli, 2016) di David Mitchell racconta la storia che si dipana attorno a un vicolo strettissimo di Londra, di fronte a un pub dal nome evocativo The Fox and Hounds (La volpe e i segugi), dove ogni nove anni, nell’ultimo sabato di ottobre, diverse persone spariscono improvvisamente senza lasciare traccia. Le sparizioni sono il punto di partenza di un dispositivo narrativo che fa del libro un romanzo stranissimo e perturbante, che inizia come una storia gotica à la Walpole o come un dramma elisabettiano alla Marlowe. La tavolozza di Mitchell è cupa e soffocante.

È un labirintico racconto, in perfetto equilibrio tra gotico e fantastico, tra apparenza e realtà, un mix di horror, fantascienza e drammi quotidiani. Tutto gira intorno a questa casa maestosa, Slade House, abitata da due entità che un tempo erano due gemelli e che per tutti appare dietro ad una porticina nera ma, una volta varcata la soglia, diventa lo specchio dell’anima del mal capitato che ci si imbatte. Un gioco. La volpe e il segugio.

I custodi di Slade House è diviso in cinque sezioni autonome, ognuna ambientata a nove anni di distanza, dal 1979 al 2015. Ogni episodio narrato sembra a sé, ma, procedendo nella lettura, oggetti e personaggi si insinuano nel lettore come una eco che ritorna. È come se il romanzo iniziasse ogni volta daccapo, ogni frase fosse un principio e una fine e ogni istante narrativo si facesse epifania e visione.

L’autore ti spedisce in un’altra dimensione e lo fa creando vere e proprie allucinazioni: una madre e suo figlio Nathan sono invitati a casa di una conoscente dove spariscono misteriosamente; nove anni più tardi, un pigro e curioso poliziotto, Gordon Edmonds, viene spedito a far luce sugli accadimenti di nove anni prima ma viene sedotto dalla fascinosa inquilina della casa; ancora nove anni più tardi, siamo nel 1997, sei giovani seguaci dell’occulto decidono di indagare per conto loro per vedere se riescono a rievocare qualche spirito errante.

Si può definire circolare una struttura in cui si ripete lo stesso modus operandi e la presenza di elementi (oggetti, volti, nomi) presenti a più riprese durante ogni capitolo. È una modalità di narrazione che molto deve all’antica tradizione orale e al modello classico della fiaba nera.

Sconsigliabile è dire alcunché di una trama dentro cui o si affonda, travolti dal tanto e dall’incredibile che vi succede, oppure si flutta seguendo la scia dei fatti paranormali raccontati. C’è una tecnica in questo modo di narrare che però congiunge l’improbabile con una certa lentezza un po’ farraginosa.

L’opera, a mio avviso, pecca di banalità anche nella scelta dei “tipi” rappresentati e nella caratterizzazione dei personaggi pur trattando temi di interesse universale: l’eterna lotta tra il bene e il male, il desiderio di immortalità, la possibilità di poter mettersi in contatto con chi non c’è più.

 

(David Mitchell, I custodi di Slade House, trad. di K. Bagnoli, Frassinelli, 2016, pp. 240, euro 19)
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LA CRITICA

Nato da un fenomeno viral, per cui l’autore postava brevi anticipazioni sul suo profilo Twitter, il nuovo romanzo di David Mitchell, creatore del più famoso Cloud Atlas, è fatto della stessa sostanza dell’illusione che travalica la realtà a cui ambiscono i personaggi principali della storia.

VOTO

5,5/10

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effe

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