“Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima”
di Antoine Volodine

Una gustosissima eterotopia letterario-penitenziaria

di / 1 marzo 2017

Lutz Bassmann, ultimo rappresentante e portavoce della letteratura post-esotica, sta per lasciarci le penne, costretto per giorni in uno stato di sospensione precedente alla morte e posteriore alla vita. Come è toccato agli altri suoi omologhi, si trova rinchiuso da decenni in un enorme penitenziario fatto per ospitare tutti quelli come lui: dissidenti letterari invisi a un’Amministrazione feroce il cui scopo sembra essere annichilire l’egualitarismo e soggiogare il proletariato.

Fuori, oltre le mura del carcere, una pioggia ostinata funesta il mondo, facendolo lugubre come dentro. Sfruttando i suoi ultimi respiri, due giornalisti prezzolati dal potere, due «mercenari della parola» (p. 23), raggiungono Lutz Bassmann nel penitenziario per chiedergli conto del post-esotismo, per farsi raccontare e poi estendere ai lettori della loro rivista, finanziata forse dai servizi segreti, le gesta di una corrente letteraria apolide per statuto: il post-esotismo è infatti letteratura nata nell’altrove e all’altrove diretta, mondi che potrebbero essere il nostro ma che non lo sono.

Non senza acredine nei confronti dei due impavidi reporter, Bassmann prende a raccontare la storia generata dal suo e dal lavoro di molti altri autori, accomunati non soltanto dall’appartenenza a un genere, ma anche dal domicilio in cui sono da decenni costretti e soprattutto dal pronome cui affidano le loro enunciazioni. È infatti proprio in quel grande carcere che gli apostoli del post-esotismo hanno prodotto e continuato a produrre le loro opere sottostando all’imperativo di un “noi” che li rende espressione della stessa eclettica personalità multifronte, un autore segregato con decine di teste e di corpi che si fa egli stesso corrente: «Maria Iguacel, Maria Arostegui, Julio Sternhagen, Maria Clementi, Maria Echenguyen, Irena Echenguyen, Maria Schrag, Wernieri, Maria Soudaïeva, Wolfgang Gardel, Iakoub Khadjbakiro» (p. 13) e molti altri, tutti figli del medesimo destino carcerario che inevitabilmente porterà dritto alla morte. Nel racconto, questi nomi si alternano a quello di Bassmann, conservando tuttavia la stessa dimensione autoriale a detrimento delle frustrazioni imposte dall’“io”, dimostrando così che il post-esotismo è un’azione corale, figlia del più profondo (parossistico) comunitarismo: «La prima persona singolare serve ad accompagnare l’altrui voce, non significa niente di più» (p. 21), dice Bassmann. E ancora: «Ho detto i “nostri” visi, in mezzo a “noi”, “eravamo”. È una tecnica della menzogna letteraria, ma che, in questo caso, sfrutta una verità che si cela a monte del testo, una non-menzogna inserita nella realtà vera, altrove rispetto alla finzione» (p. 13).

Il lettore già avvezzo alle pagine del francese Antoine Volodine, autore assai (giustamente) premiato che in Italia abbiamo cominciato a conoscere solo dal 2013, cioè a partire dall’uscita per la fiorentina Clichy di Scrittori e Undici sogni neri, saprà forse di cosa si sta parlando, e anzi troverà nel principio della storia fin qui parzialmente riportata una sorta di guida per orientarsi nel pensiero e nella narrativa di Volodine e dei suoi numerosi eteronomi, posto con molte riserve che di orientamento, in simili luoghi, ci sia bisogno.

Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima (66thand2nd, 2017), volumetto di cui si sta parlando, è un libro inusuale, e non perché parli di altri libri e autori fittizi o quasi, cosa di per sé per nulla originale, ma perché è in grado di farci intravedere la cifra generale di quell’altrove da cui proviene e verso cui viaggia il post-esotismo, il progetto formidabile e totale che Antoine Volodine ha inventato, in principio quasi per gioco, forse anche per scherno, per dare una collocazione alla sua larga produzione letteraria e a quella altrettanto larga dei suoi eteronomi, veri e propri autori che spesso diventano anche personaggi, in un vicendevole prestito tra scrittori di finzione costretti all’inazione dalla pena detentiva.

Al di sotto del lavoro del Volodine in carne e ossa (quello che i giornalisti, come hanno d’altronde già fatto, possono intervistare all’aperto, in un bar, in uno studio e non in un carcere) e di quello delle sue molteplici manifestazioni libresche come Bassmann, sembra esserci infatti un’unica trama: un’idea programmatica di sintesi che si fa manifesto di una resistenza letteraria ormai moribonda, collocando quest’ultima in una localizzazione irraggiungibile e rendendola dunque incapace di dare rimedio a quello che sembra essere il suo stesso fallimento.

Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima è forse anche una mappa: ponendosi a metà strada tra il romanzo e il saggio, racconta infatti con rigore e precisione l’epopea e la produzione (con tanto di bibliografia) di un gruppo di rivoltosi armati soltanto di parole, forse disillusi ma di certo sconfitti, gente che ci fa sentire non troppo in lontananza l’eco degli iconoclasti di Rodolfo Wilcock.

A portare questa ennesima meraviglia a firma di Volodine nel nostro mondo, in uno sconfinamento da quell’altrove di cui si è ampiamente parlato, c’è un’ironia costante che fa da impalcatura all’impianto narrativo. Un’ironia apparentemente utile a sbeffeggiare, senza crudeltà né accanimento, gli accademismi di quella critica bisognosa di trovare una collocazione di genere all’opera letteraria, o al contrario di affidarla alla confortante e versatile etichetta dell’“inclassificabile”, etichetta costruita via negationis per il sollazzo dei lettori di bandelle e fascette promozionali.

 

 

(Antoine Volodine, Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, trad. di Anna D’Elia, 66thand2nd, 2016, pp. 110, euro 16)
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LA CRITICA

Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima è un libro che trascina il lettore nello spaesamento, nonostante sia forse anche una mappa per orientarsi all’interno dell’opera del suo autore, Antoine Volodine. Un libro (elegantemente impaginato e stampato da 66thand2nd) che, nelle sue poche pagine dense di rimandi a una bibliografia più o meno fittizia, si presenta come una gustosissima eterotopia letterario-penitenziaria in cui decadono le regole della soggettività occidentale per far posto all’autorialità di un “noi” ostinatamente egualitarista.

VOTO

7,5/10

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