La nuova vita di Cesare Malfatti

Canzoni Perse, ultimo album dell'ex La Crus

di / 21 novembre 2017

Copertina di Canzoni Perse su flaneri

Negli anni Novanta faceva parte di uno dei gruppo di punta dell’underground italiano, i La Crus, nonostante il tempo, alla lunga, sia stato più clemente con Afterhours o Marlene Kunz. Da La Crus a Crocevia, passando per Dentro me, la band milanese ha, infatti, tracciato una parabola importante per la musica alternativa italiana. Nel 2017, Cesare Malfatti prende alcuni dei pezzi che ha scartato dai suoi album solisti passati, li riarrangia completamente con dell’elettronica spinta, mossa che potrebbe sembrare azzardata, e tira fuori un lavoro, Canzoni perse, che è fuori da ogni contesto qui in Italia, da Tiziano Ferro a Colapesce, da Gabbani a Thegiornalisti.

Canzoni perse non è un album elettronico in senso stretto (esempi italiani recenti, Lorenzo Senni con Persona o Clap!Clap! con A Thousand Skies), ma neanche un cantautorato con una vaga idea di elettronica (per esempio La stagione del cannibale degli Amor Fou, di cui, tra l’altro, Cesare Malfatti è stato chitarrista per un breve periodo). Non è chiaramente un lavoro che segue la scia del post I Cani, e si sa quanto oggi sia fondamentale seguire questa scia per avere un certo riscontro di pubblico. Fare una scelta di questo tipo, non scegliere quel modo di fare musica, pare molto rischiosa. Malfatti non lo fa per questioni prettamente anagrafiche e culturali, ma il cambio di prospettive è ancora più audace di quanto si potesse pensare da un personaggio come lui.

Canzoni perse si posiziona in una zona poco battuta nel panorama musicale italiano. È un lavoro che rimarrà un po’ ai margini, oggi, per ciò che è stato detto prima e perché comunque risulta di difficile fruizione. Complesso nelle scelte estetiche, duro da buttare giù, si avvale di questa componente molto forte di elettronica, riuscendo allo stesso tempo a essere un lavoro cantautorale.

Stravolge  sé stesso, Cesare Malfatti, che con Una città esposta o Una mia distrazione, produceva album pieni di quello spleen, presente comunque anche in quest’ultimo album, che può essere riconosciuto in Paolo Benvegnù (Piccoli fragilissimi film).

Il contrasto tra le voci e l’elettronica è il perno su cui ruota Canzoni perse. In quella frattura c’è l’essenza del lavoro. Una scelta che avrebbe potuto generare dei mostri, ma che invece si rivela fortunata. Spesso le due voci, la sua e quella di Chiara Castello (componente delle I’m Not a Blonde), rimandano immancabilmente ai Baustelle, a quell’alternanza Bianconi-Bastreghi che sta al centro dei lavori della band toscana. Ma qui sembrano dei Baustelle più sommessi che hanno deciso di fare dei rave intimi nelle camere di Burial, Modeselektor, Jon Hopkins.

In Canzoni perse c’è l’enorme capacità di produrre dell’elettronica vera e di piegarla al cantautorato, facendolo con enorme classe. C’è un equilibrio splendido che scorre lungo tutte le dieci tracce.
C’è un album che, in definitiva, merita molto più spazio.

(Canzoni Perse, Cesare Malfatti, Elettronica/Pop)

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LA CRITICA

Canzoni perse è un lavoro anomalo nel panorama odierno italiano, un album che meriterebbe più spazio anche solo per essere in contrasto con tutta la produzione cantautorale di questi anni.

VOTO

7,5/10

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