Gli unici con un po’ di immaginazione

Yuval Noah Harari, "Sapiens. Da animali a dèi"

di / 23 aprile 2018

Leggo prevalentemente narrativa e soltanto tre o quattro volte l’anno prendo in mano qualche saggio, secondo l’estro del momento. Non avendo una solida cultura scientifica posso permettermi solo saggi divulgativi che però spesso mi lasciano con un pugno di mosche in mano: di libri interi mi rimane forse qualche spunto di riflessione neppure particolarmente stimolante. Sapiens. Da animali a dèi del giovane storico israeliano (nato nel 1976) Yuval Noah Harari costituisce un’eccezione molto felice, una lettura dalla quale sono riemersa addirittura elettrizzata e colma di riflessioni che terranno impegnata la mia mente per molto tempo ancora. Non oso dire che il libro abbia cambiato il mio modo di vedere il mondo, ma poco ci manca. Fra i tanti meriti, ha dato un ordine, una sistemazione, a nozioni che in qualche modo già possedevo e le ha arricchite con altre importanti e interessanti; le ha collegate e sommandole ha tirato fuori conclusioni sorprendenti, eppure razionalmente argomentate.

Scritto con acume, accuratezza scientifica e grazie a un imponente apparato bibliografico, è il testo più interessante sul percorso storico-evolutivo dell’uomo che mi sia capitato di incontrare. Un’appassionante avventura che illustra come il Sapiens abbia condizionato prima la propria specie e poi l’intero ecosistema. All’inizio della storia – parliamo di ben due milioni di anni fa – sulla Terra vivevano almeno sei specie diverse di umani, così come conosciamo diverse specie per tutti gli esseri del pianeta. Solo il genere Homo si è evoluto in una specie sola, quella dell’Homo Sapiens, da quando circa settantamila anni fa il suo cervello si modificò rendendo possibile l’immaginazione, la creazione di miti, di cui nessun’altra specie vivente è capace.

La capacità di astrazione permise ai Sapiens di organizzarsi in gruppi guidati, sconfiggere dapprima  gli altri umani e diventare infine i padroni assoluti del globo terrestre. Inizia così questo saggio voluminoso – ben 520 pagine -, ma molto scorrevole, accessibile a tutti, che conserva il suo spirito originale fino all’ultimo, senza far mai mancare l’ironia. L’autore crea collegamenti tra eventi e fatti apparentemente distanti e indipendenti e costringe il lettore a riflessioni che superano la storia, tenendo ben presente l’assunto che l’uomo è l’unica specie in grado di andare oltre i limiti posti dalla biologia. Seguendo le pietre miliari della storia umana tratteggiate dall’autore, alcune delle quali vengono presentate in una luce ben diversa dalla solita, nascono spontanee alcune domande fondamentali su noi stessi e sulla società, persino con il rischio di dover modificare, se non addirittura cambiare radicalmente Weltanschauung, intesa come il complesso di idee e mentalità riferite ad un determinato periodo storico.

Sapiens. Da animali a dèi è una narrazione laica che cerca di evitare le trappole della partigianeria. Grazie alla scorrevolezza, ad uno stile tutt’altro che cattedratico, quindi piuttosto inusuale in un professore universitario specializzato in storia medievale e militare, il titolo è stato tradotto in più di trenta lingue ed è diventato un bestseller grazie al passaparola.
Concludo con una citazione che non è fra le più eclatanti del libro e a prima vista sembra un’ovvietà, ma su cui torno con il pensiero per approfondirne le implicazioni: «Fra tutti i problemi apparentemente insolubili dell’umanità, uno è rimasto il più esasperante, interessante e importante: la morte.» Il capitolo si intitola Il Progetto Gilgamesh, e da solo vale il prezzo del libro.

 

(Yuval Noah Harari, Sapiens Da animali a dèi, traduzione di Giuseppe Bernardi, Bompiani, 2015, € 16.00)
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LA CRITICA

Un visionario saggio di antropologia accessibile a tutti. «È relativamente facile concordare sul fatto che solo l’Homo sapiens può parlare di cose che non esistono veramente, e di mettersi in testa cose impossibili appena sveglio. Non riuscireste mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà».

VOTO

9/10

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