La profezia del disfacimento della civiltà

A proposito di “Sfacelo” di René Barjavel

di / 14 febbraio 2020

Copertina di Sfacelo di Barjavel

Dopo Il Mago M., la casa editrice L’Orma prosegue la riscoperta di un autore francese pressoché sconosciuto in Italia, René Barjavel, con la pubblicazione di Sfacelo (2019), un romanzo distopico e fantascientifico, apparso per la prima volta in dispense sul periodico collaborazionista Je suis partout nel 1943, durante l’occupazione nazista della Francia.

Il romanzo risente certamente del clima tragico in cui fu composto, ma il suo fascino risiede soprattutto nelle tematiche di un genere innovativo per l’epoca, in particolar modo in Francia. È un romanzo infatti profetico e visionario. Ci fa riflettere sulla pericolosità dei desideri umani e della ricerca della felicità ad ogni costo, magari ottenuta, come in questo caso, mediante un uso eccessivo della tecnologia in nome della scienza onnipotente.

Barjavel si rivela anticipatore di tutta una serie di scrittori ascrivibili al genere sci-fi come Orwell, Huxley, Vonnegut, la Atwood di Il racconto dell’Ancella, in cui la rappresentazione letteraria di un’utopia fallita può aprirci gli occhi sulle conseguenze negative della modernità per i valori umani quando a dominare e condizionare la società sono “le magnifiche sorti e progressive”.

È una lettura affascinante se fatta dalla giusta prospettiva, quella di un lettore del secolo scorso. È inquietante scoprire quanto il nostro mondo assomigli a quello immaginato da Barjavel quasi 80 anni fa.

Sfacelo è ambientato nella Francia del 2052. Il mondo del 2052 è ipertecnologico e pervasivamente e totalmente dominato dalle macchine. Ogni bisogno umano, anche il più elementare, dal cibo al trasporto, dall’abbigliamento al culto dei defunti, è eseguito da macchine. È un mondo, quello creato da Barjavel, minuziosamente descritto e ricco di dettagli. La scienza è la sola religione e verso di essa si nutre una fiducia cieca.

Tutto funziona con l’elettricità, dalle fibbie che chiudono i nuovi vestiti all’azoto alle automobili che intasano le strade, dal sistema di coltivazione artificiale che permette la riproduzione di ogni varietà di prodotti vegetali immediatamente commestibili e persino di carne, fino alla distribuzione del latte nelle case mediante un impianto di tubature del tutto analogo a quello dell’acqua potabile.

La velocità ha azzerato le distanze: si possono percorrere migliaia di chilometri in pochi minuti stando comodamente seduti su un divano ad osservare una realtà che si può perfino toccare ed odorare. La ferrovia sospesa, che congiunge Nantes e Marsiglia a Vladivostok, è considerata la nona meraviglia del mondo. Ma ci si sposta soprattutto con gli aerei, velivoli che poco conservano dell’aspetto allora noto: sono infatti privi di ali ed elica e si presentano con una forma ovoidale che tante affinità sembra avere piuttosto con uno shuttle. Ci sono ancora le automobili ma sono veicoli ultrapiatti, alcuni ancora a combustione, ma la maggior parte alimentata a «quintessenza», una sostanza «ottenuta dalla fermentazione e distillazione dell’acqua di mare», che permetteva di avere un’autonomia di migliaia di chilometri.

Rimane tuttavia un avamposto, in cui il progresso non è riuscito a penetrare, nella Provenza sud orientale, abitato da irriducibili contadini (fra cui i genitori dei protagonisti François e Blanche) che coltivano alla vecchia maniera alberi da frutto e viti, praticano ancora l’allevamento animale tradizionale e vendemmiano tre volte l’anno.

Il romanzo è diviso in quattro parti. La prima parte è più lenta e idilliaca e fa da prodromo al deflagrare dell’imminente catastrofe. Si sofferma sula descrizione di questo mondo perfetto in cui sembra superato persino il timore della morte grazie a un metodo di conservazione degli antenati defunti collocati in stanze private o comuni, dette «Conservatori», a monito dei vivi: «non c’era più il timore di finire in pasto ai vermi, di disperdersi definitivamente nella Natura indifferente. […] In questo modo il progresso materiale era riuscito a vincere la grande paura della morte che opprimeva l’umanità fin dalla notte dei tempi». In questa parte inoltre conosciamo il protagonista, François Deschamps, uno studente di scienze ventiduenne, giunto nella capitale per sostenere l’esame di ammissione alla Scuola di chimica agraria e per conquistare il cuore della sua amica di infanzia Blanche, più allettata dal mondo del successo televisivo del canale di Jerome Seita.

Come in ogni distopia che si rispetti, l’informazione è manipolata e distorta e la Storia contraffatta: a scuola i professori insegnano una nuova storia, senza più conquiste né secessioni, una storia in cui invece si dà risalto agli scienziati ed è scandita dalle scoperte scientifiche e dalle rivoluzioni tecnologiche. Nel 2052, ad esempio, ricorre il trentennale delle «Tre Gloriose Giornate della sostituzione», ovvero della sostituzione delle macchine all’uomo.

Altro elemento distopico che troveremo in un autore come Ballard è lo sviluppo in verticale della popolazione (i condomini in Il condominio di Ballard), distribuita a seconda dello status nelle quattro «Città Alte». Si tratta di grattacieli sorti sui vecchi quartieri parigini (ad esempio la «Città d’oro» sorgeva su Montmartre, l’antico arrondissement degli artisti) e dotati di ogni comfort. La crisi abitativa è stata in gran parte determinata dalle migrazioni dalle campagne verso le città in seguito allo sviluppo industriale.

Nella seconda parte, quello che sembra un ingranaggio perfetto si inceppa a causa di un inaspettato e duraturo blackout, che priverà gli uomini di quella che fino ad allora era stata la fonte primaria del loro benessere. Neanche «la scienza che tutto spiega e tutto può» in questo caso riesce a individuarne le cause né a fare previsioni su un possibile ritorno alla normalità. Dopo un surreale silenzio ben presto delirio e follia prenderanno il sopravvento.

La città di Parigi diventerà teatro dei più atroci spettacoli di disumanità: episodi di sciacallaggio, di egoismo, di cannibalismo, violenza, panico e anarchia totale. Oltre a paralizzare la città, la mancanza di energia innescherà una lotta cruenta per la sopravvivenza: «ormai nessuno si curava davvero di quel che facevano gli altri. Ci si preoccupava soltanto della propria sorte, il resto non aveva importanza». Questo regresso a una condizione primitiva e istintuale favorirà la formazione di gruppi in lotta fra di loro senza più alcuna etica: «la legge del più forte prese a regnare incontrastata nella capitale messa a ferro e fuoco».

Nella terza parte seguiamo la piccola comunità messa insieme da François, radunando gli abitanti del suo quartiere, in fuga da Parigi, una città ormai devastata dai crolli e gli incendi provocati dall’esplosione delle macchine e la caduta degli aerei. In questo viaggio assistiamo al peggio che l’umanità riesce a dare di sé in condizioni estreme.

Sfacelo cerca di farci accettare l’idea del male connaturato alla natura umana. La credenza in un universo benevolo, la fiducia nel progresso e nell’amore romantico si rivelano illusioni perché l’uomo è solo di fronte alla propria coscienza in un mondo privo di significato. In questo paesaggio apocalittico, l’uomo è sempre nudo, costretto alla furbizia e alla violenza perché debole animale fra le forze ostili della Natura matrigna.

La quarta parte è quella più debole del libro, come se Barjavel avesse voluto affrettarsi a concludere la storia trasformandola in una sorta di apologia del ritorno alla natura e finendo così per risolvere il motivo fondamentale del romanzo, ovvero il contrasto fra natura e cultura intesa come progresso, in un nostalgico “era meglio quando si stava peggio”. Il gruppetto decimato e stremato giunge infatti in Provenza, dove François instaurerà una comunità antiprogressista e dittatoriale posta ai suoi ordini: vengono messi al rogo i libri, tranne alcuni testi di poesia utilizzati per insegnare a leggere e scrivere; viene legalizzata la poligamia per garantire la necessaria forza lavoro (come non pensare alla Atwood, in cui ugualmente la donna è ridotta a mero apparato riproduttivo?); si applicano severe pene a chiunque abbia l’ardire di affidarsi di nuovo alla tecnologia dimostrando di non aver imparato nulla della lezione del passato (la tracotanza umana è punita finanche con la morte).

Barjavel ci offre un quadro spietato della società umana avanguardistica che non dà spazio all’individualità e all’emotività. A parte François, che all’inizio è l’unico ad avvertire un senso di impotenza di fronte al dominio delle macchine, gli altri personaggi sono privi di vitalità, piatti, indifferenti, egoisti. È una società piuttosto dis-utopica, vorrebbe essere perfetta ma non lo è. Già nella prima parte si notano i primi segnali di disfacimento: riscaldamento globale, inquinamento atmosferico e acustico. In questo senso oggi potremmo leggere il romanzo anche in chiave ecologista.

Lo stile semplice e a tratti lirico di Sfacelo favorisce l’immersione del lettore in un mondo “altro”, mentre la fantascienza è utilizzata non come mera tematica da letteratura di serie B ma per affrontare quesiti filosofici ed esistenziali a cui neppure l’uomo del 2052 sembrerebbe in grado di dare una risposta unica e definitiva.

(René Barjavel, Sfacelo, L’orma Editore, 2019, trad. di Claudia Romagnuolo e Anna Scalpelli, 288 pp., euro 21, articolo di Chiara Gulino)
  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio