Memoir solitario

Su “L’evento” di Annie Ernaux

di / 3 marzo 2020

Copertina di L'evento di Annie Ernaux

Come in tutti i romanzi precedenti, anche in L’evento (L’Orma editore, 2019) Annie Ernaux non si risparmia e non ci risparmia niente dell’avvenimento che da individuale e segreto assume la forza della testimonianza universale, che travalica il personale per diventare storia, legge, politica.

La Ernaux ricostruisce, con la sua scrittura precisa e sincera, l’ottobre dei suoi ventitré anni, la scoperta solitaria di essere incinta, le riflessioni sullo spartiacque che questo rappresenta.

Ricorda le reazioni degli altri, che vanno dalla morbosità alla fascinazione all’indifferenza. Riconosce che pure vi è stato qualche sprazzo addirittura di luce. Si rivede girovagare per strada senza meta, ripensare a quei momenti in forma letteraria, trovare assonanze metaforiche nei titoli di Céline e di Nietzsche – Viaggio al termine della notte, Al di là del bene e del male –, riascoltare i Concerti brandeburghesi che Bach suonava per lei in quei giorni sospesi.

In un periodo storico in cui la donna che decide di abortire – così come i medici, i farmacisti e chiunque favorisca questa azione – è punibile con la detenzione, con sanzioni pecuniarie, con la perdita del permesso di soggiorno, non viene offerta alle ragazze altra alternativa che rivolgersi a un sottomondo talmente lontano da quello che dovrebbe garantire uno Stato, che i suoi protagonisti hanno nomi che suonano fantastici: i cucchiai d’oro sono i medici clandestini, le fabbricanti d’angeli sono donne che inducono l’aborto a casa propria per poi lasciare la donna libera di completare l’azione nell’incertezza di una strada, di un autobus, di un bagno qualunque.

È a una di queste fabbricanti che la Ernaux ragazza si rivolge dopo tentativi inutili svolti in solitudine che si risolvono in dolore e null’altro ma che le offrono la consapevolezza che quello che vive suo malgrado accade per essere raccontato, che anche i fatti scomodi o repellenti possono trasformarsi in lingua, parole, diritti.

«Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla, non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei ad oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo».

Nella produzione della Ernaux ogni libro è dedicato a qualcosa o a qualcuno o a un singolo momento della sua vita: ai genitori, separatamente, alla propria giovinezza, a una sorella mai nata. E ora in L’evento un’esperienza che da incubo riesce a trasformare in dono, che pare chiarire il motivo per il quale le cose (le) accadono, conferma lo scopo del suo percorso.

«Perché al di là di tutte le ragioni sociali e psicologiche che posso trovare per quanto ho vissuto, ce n’è una di cui sono sicura più di tutte le altre: le cose mi sono accadute perché potessi renderne conto. E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intellegibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri».

(Annie Ernaux, L’evento, L’Orma editore, 2019, trad. di Lorenzo Flabbi, 113 pp., euro 15, articolo di Francesca Ceci)

 

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio