Mappamondo femminile

Su “L’atlante delle donne” di Joni Seager

di / 30 marzo 2020

Copertina di Atlante delle donne di Seager

Oltre 2 miliardi di persone non dispongono di servizi igienici di base come bagni o latrine; circa 1 miliardo deve defecare all’aria aperta. «Per le donne tutto ciò è particolarmente umiliante, soprattutto durante le mestruazioni, e le obbliga a cercare posti isolati dove però sono a rischio di stupri e violenze».

Le ragazze appartenenti alla fascia più povera della popolazione mondiale sono 2,5 volte più propense a sposarsi o ad essere date in sposa rispetto alla percentuale più ricca. In India l’età media del primo matrimonio è di 20 anni per le donne appartenenti al ceto più ricco, di 15 anni per il più povero. Nella Repubblica Dominicana metà delle donne più povere si sposa a 17 anni a fronte dei 21 delle più ricche.

In Brasile nel 2015 sono state uccise 4762 donne. In Francia ogni 3 giorni una donna viene uccisa dall’attuale o precedente partner. In Argentina ogni 30 ore viene commesso un femminicidio. Ogni anno circa 14.000 donne sono uccise in Russia.

Sono solo alcuni esempi delle centinaia di casi raccontati in L’atlante delle donne (ADD editore, 2020), un’analisi dettagliata e approfondita della situazione in cui vivono le donne in ogni angolo del mondo.

Joni Seager è una geografa femminista e un’esperta di politica globale, consulente delle Nazioni Unite e dell’Unesco su progetti di politica di genere e ambientale. Ha pubblicato per la prima volta L’atlante delle donne nel 1986, aggiornando da allora il lavoro di indagine alla luce dei miglioramenti e dei progressi raggiunti, testimoniando allo stesso tempo lo stagnamento di situazioni, luoghi e mentalità che impediscono ancora oggi il riconoscimento e soprattutto l’attuazione di una condizione di parità effettiva tra gli uomini e le donne.

Il libro è un contenitore di mappe che sono lo specchio di una società in lento divenire, spesso immobile nonostante le parole proclamate e le promesse sospese da mantenere. È un reportage di dati che sono il ritratto della vita quotidiana delle donne del mondo, delle cause e delle conseguenze che sono il frutto di scelte sociali e di consapevoli volontà maschiliste.

Seager spiega che uno dei motivi per cui il 51% delle persone sieropositive è composto da donne sta nella differenza di potere tra i generi nelle relazioni sessuali; che anche se le cure per il cancro sono progredite negli ultimi anni e negli Stati Uniti se ne ammalano maggiormente le donne bianche, quelle che ne muoiono di più sono le donne afroamericane.

I dati raccolti dall’autrice non si limitano a un report statistico ma forniscono una serie di spunti da approfondire per potersi avvicinare a capire cosa significhi essere oggi donna, ragazza, bambina in Mali piuttosto che in Pakistan o in Messico.

Apprendere che il 50% dei rifugiati mondiali sia costituto da donne vuol dire interrogarsi su cosa questo comporti, chiedersi che percentuale di queste rifugiate sia oggetto di sfruttamento sessuale lungo i chilometri che sono costrette a percorrere o nei campi profughi che da posto sicuro possono trasformarsi in luogo di sfruttamento e violenza.

Sapere che in alcuni paesi arabi e africani l’omosessualità è un crimine soggetto a pena di morte significa fermarsi a pensare come l’incombente criminalizzazione aleggi sulla vita quotidiana di ogni persona gay e lesbica che ogni giorno rischia di imbattersi in forme di abuso fisico e morale, in delitti d’onore e stupri cosiddetti correttivi come punizione della propria “non-conformità”.

È questo che fanno le ricerche svolte da Seager in L’atlante delle donne: conducono a un primo approccio alla scoperta, ai numeri, alle curiosità; e poi inducono ad alzare un velo, a voler scoprire di più, ad addentrarsi in ogni paese colorato di viola o di verde per poter capire come se la passano lì le ragazze.

 

(Joni Seager, L’atlante delle donne, ADD editore, 2020, trad. Florencia Di Stefano-Abichain, 208 pp., euro 19.50, articolo di Francesca Ceci)

 

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