Il progetto dell’eternità: Roma e la sua prima architettrice

“L’architettrice” di Melania G. Mazzucco

di / 24 novembre 2020

Copertina di L'architettrice di Melania G. Mazzucco

L’architettrice è uscito nel 2019 con Einaudi ma Melania G. Mazzucco ha impiegato vent’anni per raccogliere gli indizi e trasformare la storia sconosciuta della prima architettrice, minuta ma universale, in un racconto che risuona tra il XVII e il XIX secolo. «Devono essercene centinaia, migliaia – sotto ogni casa. Un’antologia di epigrafi che non vedranno mai la luce finché Roma esisterà».

Opera di dissotterramento della memoria, questo romanzo sembra un manoscritto saltato fuori dallo scavo di fondazione dove Plautilla Briccia ha gettato il suo amuleto di ossidiana per propiziare l’unico cantiere che ha diretto. L’edificio sorge nella Roma papalina, pensata e costruita come capitale del mondo e patria della fede dai pontefici urbanisti del Rinascimento e del Barocco, e viene distrutto nelle guerre civili dei repubblicani del 1849, che provano a ri-costruire e ri-pensare la città eterna come capitale contemporanea, patria democratica di un’Italia nascente.

Cosa rimarrà della villa del Vascello e dei segreti che ha custodito? La famiglia di Plautilla, nipote di un materassaro e figlia del Briccio, uomo curioso e artista di poca fama, vive nella Roma del Seicento tra San Pantaleo, via del Corso e Santo Spirito, nell’indigenza ma con una relativa fortuna, «tanto le sedie servono solo a poggiarci il buco dell’allegria, e i letti per farci dei bei sogni, e non vale la pena sprecare soldi per roba destinata a sfasciarsi. La cultura che uno si mette nella capoccia leggendo, invece, dura per sempre».

Il lettore precipita nel laboratorio del Briccio, al tempo in cui la stampa e l’architettura, come mezzi di persuasione, inglobano, senza sostituire, la pittura. Il libro ha anche delle figure ma le parole bastano per far apparire una Roma incredibile, superstiziosa, a caccia di committenze, reliquie e novità, immobile ma brulicante di faide ed ebbrezze, strade dove chiunque può sparire per nulla, rapito dalla febbre, da una catacomba o dalla profezia di una zingara.

In uno sforzo perpetuo, Plautilla si costruisce come il grande cantiere urbano dove cresce. Non ha un unico precettore, impara dall’esperienza. La voce narrante vira spesso dalle sue parole a quelle di chi incontra: dai grandi pittori del barocco a comuni comparse in una società piena di contrasti. Melania Mazzucco tiene insieme molti registri e generi: saga familiare, saggio, romanzo storico, romanzo di formazione. Alcuni brani sembrano la prima letteratura femminista, Jane Austen o le piccole donne di Louisa May Alcott, ma non è solo una donna a riscattarsi.

Il patto tra il Briccio e la sua bambina si sigilla con il dente di una balena. Lui non ha molto successo come pittore, ma illustra e scrive libri, ha «il dono di evocare le cose con le parole, come un mago» e Plautilla non sta nella pelle quando ascolta il racconto del cetaceo che si è arenato sulla spiaggia di Santa Severa, fenomeno rarissimo nel Mare Tirreno. Vuole vedere la creatura ma arriverà tardi, dopo un estenuante viaggio, in tempo per trovare solo lo scheletro. La delusione, incarnata dalla struttura vuota di un essere vivente che è essenza dell’architettura, sarà il segno di un destino straordinario: quello di un’anima destinata a domandarsi come si fa a far apparire qualcosa che ancora non esiste e a lasciarne la traccia più autentica nel mondo, anche se non può appartenerci per sempre. «Nessuno sa di me. Il mio nome giace tre palmi dentro la terra vergine, confitto nel cuore del colle che chiamano Monte Giano. È il dio della soglia, il genio di questa città».

L’avventura dell’architettrice, rara come un dente di balena fino a pochi decenni fa (in Italia aspetteremo fino agli anni ’50 del Novecento per superare i pregiudizi), è un racconto di iniziazione. Il padre la guida ma la inganna di continuo, non si sa se ha fiducia in lei o se è costretto a insegnarle il mestiere solo per farla lavorare al suo posto. «Avevo dieci padri o nessuno?», si domanda da adolescente.

Nella teatralità, lei impara a prendere le distanze dai ruoli che le sono assegnati. Plautilla non si sposa ma mette al mondo bambini non suoi aiutando e meravigliando gli altri. E intanto scopre il desiderio di progettare e padroneggiare la materia e il disegno. Dirigerà il cantiere di una villa al Gianicolo, «capricciosa e strana» come lei, governando quell’architettura a forma di vascello così come l’aveva immaginata e disegnata, dal basamento che sembra uno scoglio ai dettagli piramidali delle guglie.

Nel disegno originale della Villa Benedetta (stampato nella guardia e controguardia del libro) sono affacciate due figure dietro ai balaustrini. Sono amanti? Padre e figlia? Due sorelle? L’architettrice si rammarica di non poter abitare la “sua” villa ma comprende che la sua emancipazione non è individuale ma collettiva. Nell’affrancarsi non trova la salvezza e nemmeno il riconoscimento, anzi mette in guardia dal fallimento di ogni impresa eroica. La vocazione autentica non conquista il successo ma permette di affidare la propria vita alle relazioni affettive (anche conflittuali) e di destinare il proprio messaggio all’eternità. Qualunque esso sia ci sarà qualcuno in grado di trovarlo e custodirlo come un amuleto, riconoscendo la preziosità di un dente di balena.

 

(Melania G. Mazzucco, L’architettrice, Einaudi, 2019, pp. 568, euro 22, articolo di Martina Pietropaoli)

 

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio