L’eco di Max Weber

“Il lavoro dello spirito” di Massimo Cacciari

di / 17 dicembre 2020

copertina di Il lavoro dello spirito

Il lavoro dello spirito, in tedesco geistige Arbeit: questo il titolo dell’ultima opera di Massimo Cacciari pubblicata con Adelphi. Un titolo che riprende esplicitamente quello usato da Max Weber per la pubblicazione delle sue celebri conferenze tenute all’Università di Monaco: La scienza come professione, nel 1917, e La politica come professione, nel 1919. Il compito in cui il filosofo veneziano si cimenta in queste pagine, infatti, è solo uno: riascoltare e far ascoltare Weber, ripensare le drammatiche questioni che quest’ultimo aveva posto oltre un secolo fa sul rapporto tra scienza e politica nel mondo della razionalizzazione tecnica. Non è certo la prima volta che Cacciari si propone di riattualizzare Weber: da dove scaturisce la necessità di insistere? Che cosa possono dirci le parole di Weber se ancora oggi bisogna tendere l’orecchio al loro eco?

Nel primo capitolo del libro Cacciari delinea lo sfondo concettuale della nostra epoca, ovvero quali sono le idee che innervano il sistema del capitalismo, che più passa il tempo e prende potere più «rivela la sua vera natura, che è tutta immateriale o metafisica. Essa si svolge integralmente sul terreno della potenza della mente e cioè del lavoro dello spirito». La natura del capitalismo non viene dal nulla, come tutto ciò che è terreno nella storia degli uomini poggia su un avvenimento, in questo caso l’affermarsi della scienza moderna e della sua visione del mondo. E la scienza moderna è un continuo autosuperarsi; come dice lo stesso Weber: «essere superati scientificamente – è bene ripeterlo – è non solo il destino di noi tutti, ma anche il nostro scopo». Da qui il continuo rifarsi del mondo, il paradigma per cui tutto vive solo per la propria morte, per cui la merce è creata in vista del suo immediato sopprimersi in nuova merce, dove predomina ciò che diviene su ciò che sta. In breve, la desostanzializzazione del mondo, di cui una conseguenza che Weber ancora non poteva vedere è che «il capitalismo è essenzialmente capitale finanziario», come osserva Cacciari. Questo è il mondo attuale, prodotto dalla progressiva razionalizzazione scientifica. Nessun giudizio negativo, il sistema funziona, anzi, va da sé, potrebbe tutto sottomettere al suo incessante movimento di creazione e distruzione, un moto che procede per crisi, che non sono quindi falle nel sistema, ma il motore stesso.

Qualsiasi critica reazionaria e nostalgica al processo di razionalizzazione del mondo sarebbe un infantilismo sterile, un mettersi a cantare una volta che si è nel buio per non sentire la paura dello smarrimento, per dirla con Robert Musil, altro grande lettore disincantato del proprio tempo. E del proprio tempo bisogna essere all’altezza, capirne ilproblema, che potrebbe essere definito come il problema dell’ordine. Come ordinare il mondo nell’epoca del capitalismo avanzato? È corretto semplicemente far andare da sé la “macchina”, amministrarla? Oppure bisogna svincolarsi completamente da essa, puntare nuovamente su grandi ideali che escludano l’idea scientifica di calcolo e razionalizzazione? C’è una terza via tra i due estremi appena indicati: a quest’ultima pensa Cacciari riattualizzando Weber, in un dialogo nel quale si scorge sempre un altro grande critico dell’ordine dell’epoca contemporanea come Carl Schmitt. Il problema dell’ordine è un problema politico. Quindi la questione è come deve agire la politica nel mondo razionalizzato della tecnica scientifica, questo il fil rouge tra le due conferenze di Weber.

Innanzitutto, ci dice Cacciari sulla scorta del grande sociologo tedesco, bisogna capire non soltanto che ormai «il modello di razionalità della scienza moderna diviene il valore che informa di sé i mondi vitali del moderno», ma anche che la scienza ha il suo valore nell’avalutatività (quindi essa persegue sì un valore!), nel suo porsi come ricerca oggettivante che nell’esperimento procede eliminando l’uomo e i valori nei quali è storicamente immerso. Questa è la sua potenza che ci permette di assaporarne i frutti. Ma proprio per questo, la scienza non può dirci come agire, né può dire scientificamente se abbia senso perseguire il progetto scientifico. Le scienze non possono esprimersi sul senso e quindi sull’agire umano, per Weber possono solamente darci «una risposta alla domanda: che cosa dobbiamo fare se vogliamo dominare tecnicamente la vita? Se però dobbiamo e vogliamo dominarla tecnicamente, e se ciò abbia, in ultima analisi, propriamente senso, esse lo lasciano del tutto da parte». I singoli scienziati potranno sì esprimersi a riguardo, ma non in quanto scienziati, perché il metodo della scienza a ciò non può rispondere.

Nel Lavoro dello spirito Cacciari elabora e approfondisce queste pagine weberiane sotto un profilo storico-filosofico. È crollato, sostiene, il sogno dell’idealismo e della borghesia: che il sistema della scienza porti, nel suo procedere e compiersi, al sistema della libertà. Il progresso scientifico non porta da sé il progresso verso una maggiore libertà, ci saranno sempre differenze, “servi e padroni”.

Sarà allora la politica a guidare il nostro agire, poiché procede non avalutativamente ma cerca anzi di instaurare valori nel mondo, decide per essi e vuole farli valere. Il politico deve decidersi per un valore, deve essere convinto della sua preminenza, portandolo quindi a farlo valere contro gli altri valori. Il buon politico deve inoltre essere responsabile, in quanto deve riconosce la legittimità degli altri valori, non concepire il proprio come il valore assoluto. Si rende conto che la scena politica è scena tragica. Lo scontro tra i valori necessita di essere rappresentato, da qui la democrazia rappresentativa guidata da partiti che prendono parte per determinate gruppi uniti dal rispettivo interesse – enon per il fantasma del popolo.

Il politico di professione deve inoltre essere responsabile delle conseguenze che produce nel portare avanti la propria causa, deve saper mediare e rinunciare, nello scontro con gli altri valori: mai impuntarsi, illudersi di realizzare il suo progetto come lo aveva pensato. Se tutto fosse sacrificabile al valore prescelto, il politico sarebbe un ideologo o un profeta che predica di aver trovato la via della salvezza a cui tutti debbano sottomettersi.

Per agire nel mondo contemporaneo, che prende forma sulla visione scientifica e disincantata del mondo, il politico non può fare a meno di pianificare attentamente il suo operato, di essere il più coerente e chiaro possibile nel perseguire il proprio obiettivo. E «questa conoscenza» precisa Cacciari «non può venirgli che dallo studioso, dallo scienziato […] poco importa se lo studioso sia in lui o accanto a lui». Il politico deve quindi far propri i mezzi della razionalizzazione tecnica scientifica, che in politica hanno l’aspetto della burocrazia. Deve immergersi nel mondo in cui è attivo e nel suo modus operandi: «la vera e propria decisione politica ha sempre luogo, per Weber, all’interno della dimensione tecnico-burocratico-razionale del moderno Politico». Un politico che non agisse in tal modo sarebbe niente di più che un demagogo che aizza le masse anziché condurle verso un mondo strutturato dal valore che lui ha deciso; che fa opportunisticamente suo quello che di volta in volta è il valore in cui i più si ritrovano (poco importa se sia la sicurezza o la stabilità economica e il pareggio di bilancio o la grandezza della Nazione) lodandolo come “salvifico”.

Da questo lavoro eroico di mediazione tra l’aspetto scientifico-burocratico, il perseguire il proprio valore e il riconoscimento degli altri, due sono gli estremi in cui il lavoro del politico può naufragare. Da un lato, l’eccessiva burocratizzazione, il porsi completamente al servizio del sistema capitalistico e i suoi fini, diventando così semplice amministratore, incapace di dar forma al mondo seguendo la via di un determinato valore scelto tra altri. Al contempo, la scienza stessa cercherà di «trasformarsi in modello etico-politico (propriamente in progetto di de-politicizzazione)», e l’avalutatività del processo tecnico-razionale non potrà che assecondare l’andamento del sistema e porsi anch’essa come sua amministrazione razionale.

Dall’altro lato, la politica rischia di separarsi totalmente dall’aspetto tecnico-burocratico, inseguendo ciecamente un valore concepito come “panacea sociale”: il politico-demagogo spinge per un’azione diretta, immediata (e in quanto tale sempre più elogiata dai partiti che sostengono di fare gli interessi del popolo, inteso come un tutt’uno), insofferente all’apparato di mediazioni proprio della democrazia.

In entrambe le derive la politica sarà succube del sistema stesso, impotente a rispondere alle istanze di libertà che vengono avanzate di fronte a una «gabbia d’acciaio» che elimina ogni autonomia del politico rispetto al corso del mondo. E in entrambi i casi si può notare il conflitto tra la scienza e la politica: questo scontro non deve essere soppresso, deve rimanere acceso, nella misura in cui ognuna delle parti si serve dell’altra. Senza conflitto reciproco, scienza e politica verrebbero schiacciate dalla razionalità orientata al profitto propria del sistema capitalistico: la scienza diverrebbe meramente funzionale all’economico, mentre la politica diverrebbe pura amministrazione dell’economico, incapace di frenare esplosioni di demagogia e tendenze antiscientifiche che, nella speranza di sovvertire il sistema, se ne renderanno ancora più schiave.

Cacciari ha scritto Il lavoro dello spirito mentre era chiuso in casa, come milioni di altre persone nel mondo, per la pandemia di Covid-19. Una reclusione infelice, come ha avuto modo di testimoniare, trascorsa osservando con disperazione un nuovo conflitto in cui scienza e politica vogliono prevalere l’una sull’altra. La pandemia si innesta in una crisi economica che procede da ormai più di dieci anni, e a cui sembra che la politica risponda solamente inseguendo l’evolversi dell’economia, peraltro senza tenerne il passo. Il capitalismo avanzato e le tecniche su cui poggia hanno eroso ogni distanza spaziale, infliggendo un colpo mortale alla forma dello Stato moderno (forma ancora essenziale per la visione di Weber, sulla cui crisi si espresse Carl Schmitt già nella prima metà del secolo scorso). Si disintegra in tal modo lo scenario in cui si poteva rappresentare lo scontro tra i valori: quella di oggi non è forse una crisi del sistema politico rappresentativo?

Se, seguendo Cacciari e Schmitt, dopo lo Stato il mondo dovrà essere ripensato in Grandi Stati che “imperino” (termine appunto schmittiano), non si può non osservare come l’Europa, che potrebbe e dovrebbe assumere questa forma, sia oggi fragilissima: incapace di prendere decisioni secondo un qualche valore, si limita a esistere in una modalità funzionalista, restando nient’altro che un patto tra stati (o quel che rimane di essi). Basta vedere la gestione della crisi migratoria e le farse sulla distribuzione delle mascherine (e in generale sulla gestione dell’emergenza sanitaria), per capire che un’Europa politica semplicemente non esiste. Da qui nascono al suo interno i movimenti sovranisti che vorrebbero smontarla, l’altra faccia della stessa medaglia. Il capitalismo finanziario cavalca questa crisi – lo dicevamo, le crisi sono il suo motore – e si rafforza, andando a erodere sempre più l’autonomia della politica.

È di moda citare Mark Fisher: «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Così sembrano andare le cose, e se fosse vero saremmo veramente già arrivati alla fine della storia, nota Cacciari, poiché il «tempo di questa è quello dell’accelerazione senza fine», del perenne rinnovarsi del mondo «senza che alcun Fine risulti indicabile»:l’illimitata idea di progresso lasciata senza briglie. Ma proprio così deve andare? «There is no alternative», secondo l’altrettanto celebre affermazione di Margaret Thatcher? La risposta di Cacciari (e Weber) è no, anche se – ciascuno nella sua epoca – entrambi riconoscono disincantati quanto difficile sia l’uscita dal tunnel.

Una via d’uscita però esiste, perché anche il processo di de-politicizzazione è un processo politico: quest’ultimo non può scomparire dalla scena del sistema capitalistico, gli è consustanziale. Ma può certo perdere forze, sottomettersi e fare il suo gioco. Ecco perché bisogna continuare ad ascoltare le parole di Weber, sempre riattualizzarle, ragionare inquadrando il conflitto tra razionalizzazione scientifica e decisione politica nel mondo della tecnica, così da tenerlo nella giusta tensione. Si può sempre spezzare il sistema – come del resto perdervisi –, nessuna logica lo vieta; perché se «qui la storia non finisce, ciò non potrà dipendere, ancora, che dall’energia contenuta nel geistige Arbeit, nel suo conatus a resistere come potenza autonoma a ogni sua sussunzione economica, politica e religiosa».

 

(Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito, Adelphi, 2020, pp. 118, euro 13, articolo di Marco Varaldo)

 

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