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Cinema

“La vita possibile”
di Ivano De Matteo

Fuggire per ricominciare

di Francesco Vannutelli / 23 settembre

È stato un po’ il grande escluso italiano dell’ultima Mostra di Venezia La vita possibile, l’ultimo film di Ivano De Matteo. Molto apprezzato negli ultimi anni, anche in Laguna, per i suoi film improntati su un racconto realistico dei vari livelli della borghesia nazionale, De Matteo è rimasto fuori dalle selezioni veneziane nonostante la coppia di interpreti di grande richiamo Margherita Buy – Valeria Golino.

È da La bella gente, il suo secondo film da regista, che Ivano De Matteo parla sempre delle famiglie. Famiglie in difficoltà più o meno evidente, incapaci di mantenersi in piedi o di unirsi di fronte all’imprevisto È lì che si struttura l’individuo e di conseguenza la società.

In La vita possibile la famiglia si distrugge per far sopravvivere madre e figlio. Il padre è un violento dispotico che li tiene prigionieri della paura e delle botte. Dopo gli ennesimi cazzotti, Anna sale sul treno che da Roma porta a Torino insieme al figlio Valerio. Cerca riparo dall’amica Carla, attrice di teatro zitella più che single, per costruire una nuova vita possibile. In Piemonte succederanno una serie di cose, tra nuovi lavori, nuove scuole, nuovi amori, mancanze e incomprensioni.

Se in I nostri ragazzi, tratto da La cena di Herman Koch (che nel 2017 ridiventerà film con Richard Gere e Rebecca Hall), i figli erano l’oggetto della sbigottita osservazione del gruppo di genitori, così diversi e distanti dall’immagine di normalità che veniva proiettata su di loro, in La vita possibile la prospettiva si sposta direttamente su Valerio e sul suo percorso di crescita in una dimensione nuova. Il mondo adulto accompagna, senza riuscire davvero a entrare in contatto, ma accontentandosi dei piccoli segnali.

La famiglia, come detto, rimane al centro, ma più che in altri momenti del cinema del regista di Gli equilibristi siamo davanti a un racconto di formazione dall’andamento classico. L’ostacolo che Valerio deve superare per crescere è la solitudine che può diventare rabbia, illusione o frustrazione.

Come succede sempre con i film di De Matteo – e come succede spesso nei film diretti da attori –, la forza principale di La vita possibile arriva dagli interpreti, da Margherita Buy pronta a ogni sacrificio per il figlio a Valeria Golino nel ruolo dell’amica svampita, con il giovanissimo Andrea Pittorino, con una carriera decennale tra televisione e cinema all’attivo, in particolare rilievo.

La vita possibile, però, non riesce a indovinare la strada del cinema di qualità, piuttosto finisce per inciampare nei luoghi comuni del cinema italiano, dei pianti, degli urli, delle fughe in bicicletta. I singoli elementi del film funzionano anche, presi uno alla volta, ma è il loro insieme che rende tutto meno efficace, meno puntuale nel raccontare le difficoltà.

Il tema importante della violenza delle donne e soprattutto della voglia di reagire agli abusi si disperde nelle varie sottotrame di relazioni possibili e impossibili. C’è il ristoratore buono e “strano” con una colpa da espiare, c’è la giovane prostituta dell’Est (in pieno pomeriggio? in un parco pubblico del centro di Torino?) che si affeziona a Valerio perché le ricorda il fratellino, ci sono i bulletti del quartiere pronti a diventare nuovi amici. Ci sono tante cose già viste. Non c’è, però, la rabbia sacrosanta che la vita impossibile da cui Anna e il figlio scappano dovrebbe scatenare. Non c’è la paura, non c’è la determinazione. È tutto così posato, così calmo, da sembrare freddo. È un peccato, perché gli elementi di pregio ci sarebbero. Su tutti, la costruzione del rapporto madre-figlio.

(La vita possibile, di Ivano De Matteo, 2016, drammatico, 100’)

LA CRITICA - VOTO 6/10

Ivano De Matteo continua il suo racconto sulle famiglie italiane di oggi spostando la telecamera ad altezza di ragazzino in fuga, con la madre, dalle violenze del padre. Un po’ di retorica cinematografica all’italiana finisce per rovinare il buon lavoro degli attori.