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Libri

L’altra anima del viaggio

“Khalat”, graphic novel di Giulia Pex

di Cristiana Saporito / 1 luglio

Questione di prospettive. Da che parte stiamo mentre sfila il racconto? Sempre in platea, imbracati, ammortizzati, incapsulati nel conforto del salotto quando lo schermo tuona. Senza colpirci. Il rullo scorre, il mondo brucia e noi siamo seduti. Da lontano, si sa, le fiamme non graffiano. Ingolliamo frammenti, avanzi di Apocalisse, centrifugati con poco risciacquo nella spirale che mescola la nostra serie tv all’ultimo acquisto di cibo on line. Trasformando tutto in fiction.

E chi sono quei corpi di squame, quei pesci senza branchie infilzati alle onde? Quelle braccia salate che chiedono terra mentre sputano acqua? E da dove provengono tutte quelle emergenze? Forse sbucano tutti da un solo Paese di fame, creato allo scopo di minacciarci la pelle o gli acidi sonni. Ci interroghiamo, col prurito del disagio o nei momenti migliori, con lo scampo portatile del senso di colpa. A risponderci spesso intervengono le storie, quelle che non abbiamo scelto, che incombono come corvi sui nostri appetiti, le vite sceneggiate dal caso che sbalza un destino al di là della sponda.

Altre volte, invece, c’è chi non si accontenta di guardare indisposto al di qua del mare, chi queste voci se le va a cercare, le sente fremere come ferite e da loro riceve la schiettezza del dolore, il senso semplice e ineluttabile di una traccia sommersa. Nessuna pretesa di verità assoluta, solamente il barlume di un profilo, la vicenda di un nome tra tanti, ammassati su un barcone in attesa di futuro.

Davide Coltri è un italiano trasferito a Beirut, quindi anche lui un migrante, e da lì porta avanti progetti umanitari nel campo dell’istruzione. Il suo testo Dov’è casa mia? (minimum fax, 2019) è uno scrigno di passi raccolti come pietre, inventati soltanto dalla realtà, testimonianze di chi ha lasciato e scommesso, lottato e perduto, ma restando in piedi.

Uno di quei volti è quello di Khalat, (Hoppípolla Edizioni, 2019), ragazza curda catapultata fuori dalla sua città, sotto scacco della guerra civile siriana. Ed è un volto che ora possiamo osservare, grazie all’iniziativa della giovane casa editrice Hoppípolla, dedicata ai graphic novel e alla contaminazione di forme narrative.

Ad assegnarle densità e contorni ci ha pensato Giulia Pex, 26 anni, disegnatrice e fotografa che ama ibridare i gesti, fondere i linguaggi, tratteggiando un diario di bordo e un quadro emotivo di una donna ostinata e fedele a se stessa.

Una donna che studia contro chi la vorrebbe raddolcita d’ignoranza, che vola a Damasco per ripararsi dai subbugli, che si rintana il cuore nei versi di Prévert, che non accetta di farsi femmina come sembra prescritto. Suo fratello viene reclutato con la forza nell’esercito e costretto a sparare ai ribelli. L’assenso sarebbe il solo suono previsto, ma lui si oppone, protesta, scontando con la vita quell’atto di conferma della propria dignità.

Per Khalat si spalanca il vortice del viaggio, quel buco nero in cui assorbire l’essenziale di un’esistenza a rischio: «Biancheria intima, vestiti, una giacca per l’inverno, scarpe comode, un cellulare vecchio ma resistente, i pochi soldi che avevo», ecco come condensare in valigia le minutaglie della speranza. Frangenti d’angoscia e di svolta, risucchiati nel dettaglio di un maglione piegato e di un paio di mani aggrappate a un manico.

Tutto lì, non c’è spazio per altro e neanche il tempo offre un buon nascondiglio. Di nazione in nazione (come mostrato chiaramente alla fine dell’opera) si snodano l’esodo e la sfida di ogni tappa. Dalla Siria alla Turchia, poi in Grecia e attraverso Macedonia, Serbia e Ungheria fino alla Germania. Fino a un campo di accoglienza, fino a un appartamento che inghiotta il suo odore, un angolo di mondo da chiamare “casa”. Dove amore e famiglia siano un dono imprevisto.

Tavole profonde e malinconiche, con un segno intenso e delicato nello stesso ritaglio di sguardo, e un uso del colore puntuale e mirato, pronto a incidere l’istante con grazia e precisione. Ma a volte ciò che viene omesso, l’espressione che non compare è ancora più ingombrante della scena in primo piano, perché ogni scorcio è poco più di una nota, uno squarcio di parola allunata tra gli oceani. Miracoli del non detto e della sua poetica. Tutto il resto non lo sapremo, non è fatto per noi, che invochiamo soluzioni semplici e d etichette immediate.

Narrare per immagini serve anche a questo, aggiungere toni incalcolati e personali a dimensioni impacchettate a dovere per ingrassare il mercato dello scontro. Giulia Pex non è di certo l’unica ad aver scelto questo mezzo. Sio e Nicola Bernardi hanno incontrato tante identità in transito nei centri d’accoglienza straordinaria dell’imperiese e da questa esperienza è nato Storiemigranti, un percorso di fumetti e ritratti ricalcati sulle impronte di chi ha imbarcato la salvezza su un gommone.

Hamid Sulaiman affronta ancora la catastrofe siriana nel suo Freedom Hospital, radunando in un ospedale clandestino un microcosmo sociale complesso e contraddittorio. E la mostra ideata da uno spunto di Gipi Migrando, gridando, sognando. Storie di migranti nello sguardo del fumetto mediterraneo ripropone il punto di vista dei viaggiatori, di quelli che si muovono nella metà incerta del mare. Quel mare che è lo stesso per tutti, anche quando lo scordiamo.

Da un brano di Baricco che la mia adolescenza ha molto amato: «Dove inizia la fine del mare? O addirittura: cosa diciamo quando diciamo: mare? Diciamo l’immenso mostro capace di divorarsi qualsiasi cosa, o quell’onda che ci schiuma intorno ai piedi? L’acqua che puoi tenere nel cavo della mano o l’abisso che nessuno può vedere?»  O una sterminata pagina dove affondano le stelle. Altre, invece, imparano a nuotare.

 

(Giulia Pex, Khalat, Hoppípolla Edizioni, 2019, pp. 108, euro 17, articolo di Cristiana Saporito)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Graphic novel coinvolgente e raffinato nella sua semplicità, episodio piovuto come una piccola freccia nel petto della tempesta. Quella attualissima sugli sbarchi negati e le forme (più o meno strumentali) del dissenso.