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Musica

È arrivata la fine per gli Strokes?

"The New Abnormal", l'ultimo album firmato Casablancas e soci

di Luigi Ippoliti / 15 aprile

Come suona un album degli Strokes nel 2020 dopo sette anni di (quasi) silenzio? Come sempre. Ci ritroviamo ad avere che fare con il solito gruppo che abbiamo conosciuto, che negli anni non è mai riuscito ad andare oltre alla propria cifra stilistica, intrappolati in una gabbia espressiva che li ha resi tanto brillanti quanto, poi, innocui. Il tempo per Casablancas e soci sembra essere terminato. The New Abnormal ci ripropone le stesse intenzioni proposte e riproposte negli anni, con qualche contaminazione qua e là (in primis i Daft Punk) senza però quei guizzi imponenti con cui hanno illuminato l’inizio del nuovo millennio.

Dai tempi del loro ultimo LP, Comedown Machine, i cinque americani ci hanno lasciato un EP anonimo, confuso: quattro brani arruffati di cui non si sentiva il bisogno, raccolti in Future Present Past. Rimane avvolta nel mistero la necessità di produrre qualcosa del genere. Il suo successore, almeno a livello cronologico, non ne è una copia, ma si lascia appresso alcune scorie impossibili da sottovalutare.

Arriviamo allora in questo nuova decade con un nuovo lavoro, che ci sbatte in faccia una copertina con Bird on Money di Basquiat, il tributo dell’artista statunitense a Charlie Parker: è sì un album piacevole da ascoltare, forse eccessivamente lungo, che si porta dietro quella (maledetta) nostalgia Strokes, ma che non toglie e non aggiunge granché a quanto fatto in passato. E di certo non sono un uso di synth o questi nuovi falsetti di Casablancas a far pensare di avere tra le mani qualcosa che possa somigliare a una nuova vita per i cinque americani.

The New Abnormal inizia bene, con un pezzo interessante, “The Adults Are Talking“, in cui Casablancas si esibisce nel finale in questo strano falsetto che può ricordare quello di Apparat, ma poi tende a persersi insieme agli altri, cercando di rincorrersi attraverso nuove e innocue soluzioni, in un meticciato stanco e arrancante, anni ’80 qua e la che vanno a sciogliersi in quelle chitarre che sono iconicamente le chitarre degli Strokes . Si ritrovano in un paio di momenti, come “Eternal Sunshine” (ma anche qui poi tende ad accartocciarsi su sé stessa) ma soprattutto “At The Door”, dove l’esperienza con i Daft Punk si fa sentire prepotentemente, ma dove emergono di nuovo sfumature ambient pop  alla Apparat.

Possiamo dirlo e ridirlo: i tempi di Is This It e The Room Is On Fire sono finiti. A corredo di questo si può parlare di quanto siano stati influenti negli anni ’00, di quanto siano stati la guida per una miriade di gruppi, di come abbiano costruito un genere riscrivendo il rock anni ‘70 . Ma lo sappiamo, lo sappiamo troppo bene e non c’è una necessità reale di fare l’agiografia di un gruppo che, in vent’anni, non ha mai provato seriamente a uscire dalla propria confort zone.

È triste per tutti, per i fan e non, essere arrivati di fronte a qualcosa di così definitivo – ma probabilmente già sette anni fa lo sapevamo: la fine degli Strokes. Di cui ci rimane, oggi, un album che sarebbe stato un buon esordio per un gruppo esordiente ma che, partorito da loro, vivacchia sulla sufficienza.

Ascoltare gli Strokes, oggi, è ascoltare l’arricciarsi di un nastro di una musicassetta: una lunga scossa di malinconia che scorre lungo il corpo, ma che ha fatto il suo tempo.

LA CRITICA - VOTO 6/10

Nonostante The New Abnormal sia un album piacevole e porti con sé una forte dose di nostalgia da Strokes – ma forse proprio per questo – ci troviamo di fronte a una domanda, questa volta forse definitiva: è davvero finito il tempo degli Strokes?