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Musica

Non possiamo chiedere di più ai Placebo

Il ritorno di Brian Molko

di Luigi Ippoliti / 12 aprile

Era da un po’ che non usciva nulla di nuovo da parte dei Placebo, nove anni, dal non memorabile Loud Like Love. Non una cattiva notizia, visto cosa stavano iniziando a combinare. Parabola discendente. Brian Molko, la sua voce nasale, il glam. Un più che diffuso nichilismo di fondo.  Il tempo dei duetti con David Bowie era storia. Bene così. Nel 2022, comunque, esce un nuovo album, Never Let Me Go.

Nel 2006, con Meds (che, paradossalmente, pare invecchiato piuttosto bene) era abbastanza evidente che la fiamma che li aveva resi uno dei gruppi di culto a metà anni novanta iniziava a cedere. Ma c’erano brani tipo “Song to Say Goodbay” e “Infra-Red” che facevano stare un po’ cauti.  Poi però Il già citato Loud Like Love, ma prima Battle For The Sun. Eravamo in piena zona U2.  Un destino che accomuna molti gruppi. Appiattimento, poi una discesa verso l’oblio. A essere ottimisti un plateau, una fine dignitosa. Il tanto bistrattato Sleeping With Ghosts pareva Sgt.Peppers.

Arriviamo a oggi, nove anni dopo. Never Let Me Go pare avere sicuramente qualcosa in più rispetto alle ultime cose, un’ispirazione, non a tal punto da gridare al miracolo o all’espressione sono tornati i Placebo, ma quantomeno abbiamo da ascoltare qualcosa che non ti fa pentire di aver sprecato  un’ora della tua vita. Viste le premesse, non è poco.

Ma la questione centrale è proprio il format Placebo, tutta la semiotica che si porta appresso, che quasi naturalmente si manifesta come qualcosa che appartiene a un altro momento storico. La voce di Molko non ha avuto particolari sviluppi, non si è evoluta, la scrittura dei pezzi tra queste sferzate con le chitarrine – proprio queste qui –  e le ballatone (“This is What You Wanted“, forse il prezzo riuscito meglio dell’album);  i riff non riescono ad avere quella presa come in passato (sì, banalmente tipo “Special K“), le melodie stesse che non hanno la forza di fare quel passo in avanti. Per quanto possa suonare paradossale, è un problema generale dei Placebo, non dell’album nello specifico.

Ci sono degli aspetti interessanti (più una scopiazzatura piuttosto imbarazzante di “How to Disappear Completely” dei Radiohead, “Fix Yourself“), roba che non si distacca dall’estetica (appesantita, ed è questo il punto focale: forse è proprio la voce in sé di Molko che ha fatto il suo tempo) del prodotto Placebo, dell’idea Placebo, ma che sicuramente girano bene: una chitarra simil post rock in “Twin Demons“, lo spoken e la coda di “Went Missing” che sembra uscita da Sleeping With Ghosts, l’inaspettata orchestrazione di “The Prodigal“. Poi ci sono i classici topoi: le droghe, la morte, i compleanni, for what it’s worth, le anime gemelle.

Per essere un album dei Placebo, per come sembrava si stessero mettendo le cose, Never Let Me Go è una boccata d’aria pulita. Viste le premesse, il risultato sarebbe potuto essere peggiore. Decisamente peggiore. Ai Placebo non possiamo chiedere più di questo.

LA CRITICA - VOTO 6/10

Non possiamo chiedere di più ai Placebo se non di fare decentemente i Placebo.