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Cinema

I will avenge you, Robert!

A proposito di The Northman,
ultimo film di Robert Eggers

di Giuseppe Del Core / 27 maggio

Per farsi un’idea dell’immediato interesse che si è guadagnato Robert Eggers, basti pensare che, già molto prima che The Northman approdasse nelle sale, si era iniziato a chiacchierare – e a farlo con un certo hype – riguardo a un altro progetto del regista statunitense, cioè il re(re)make di Nosferatu. La notizia era stata accolta con l’accoglienza che si è ormai soliti riservare a notizie di questo tipo: non curiosità ma preventiva acclamazione (al coraggio?), non ansia ma pura trepidazione. Non si può aspettare, sarà un capolavoro.

Sì, perché il trentottenne Eggers, dopo soli due film, pareva già deputato a guidare la rinascita del Cinema, peraltro all’interno di una scena horror capace di affrancarsi dai franchise (e quindi Saw, Rec, Paranormal Activity e, più tardi, The Conjuring) e spostarsi su un piano più autoriale. Nel giro di poco è nata una triade quasi inseparabile: Jordan Peele (Scappa – Get Out, Noi), Ari Aster (Hereditary, Midsommar) e appunto Robert Eggers (The Witch, The Lighthouse e ora The Northman), a cui talvolta si aggiunge il nome di David Robert Mitchell, che però sembra appartenere meno al genere, dato che ha esordito con un coming of age (il delizioso e sottovalutatissimo The Myth of the American Sleepover) e che, dopo l’incursione horror con It follows (2014), è tornato con un simil-noir psichedelico mai distribuito in Italia (Under the silver lake, 2018).

Per quanto diversi nell’approccio (Scappa – Get Out per esempio resta comunque un cinema più vicino all’intrattenimento, e del resto Peele nasce come comico), i tre esordi avevano ricevuto un’approvazione – fino a sfociare nell’acclamazione – più o meno generale. Chiamati alla seconda prova (che è sempre la più difficile nella carriera di un artista, canta il luogo comune), i giudizi si sono assestati su una gerarchia più o meno condivisa: Peele, appunto, staccato dagli altri due (guai a premiare il cinema divertente!), con Eggers e Aster a contendersi il primato. Ritmi, ambizioni e cifre stilistiche avevano insomma collocato i due registi nella dimensione degli autori (questi, cioè, non vogliono [solo] divertire: vogliono fare arte).

The Lighthouse era un film autoriale in tutto e per tutto: dall’impostazione teatrale al lavoro sulla recitazione, dai riferimenti (moltissimi) letterari a – manco a dirlo, naturalmente – il bianco e nero. Eppure, a giudizio di chi scrive, questo impianto così fortemente autoriale, che pretendeva un’esegesi tanto stimolante per l’intelligenza e la cultura di certi spettatori (e in particolare di quello medio), finiva per risultare irritante – proprio per via dell’eccesso di simboli e riferimenti e interpretazioni in relazione a un’azione molto minimale – per altri.

The Northman è una riscrittura shakespeariana in salsa vichinga, invero con toni poco affini a Shakespeare e più debitori all’epica. Amleth (Alexander Skarsgard) deve vendicare suo padre (Ethan Hawke) assassinato da suo zio Fjolnir (Claes Bang). Siamo nelle terre del Nord, l’anno è l’895. Si tratta di un film poco riflessivo, per nulla introspettivo, privo di dubbi amletici. E questi aspetti, per quanto all’apparenza negativi, non rappresentano un difetto del film – semmai ne rappresentano un limite, il che è una cosa diversa. Il nostro sembra essere un tempo che ammette poco la dimensione del buono soprattutto di fronte al talento: se hai talento, o fai un capolavoro oppure fallisci.

The Northman ha dunque la colpa di essere un buon film senza essere il capolavoro che molti speravano che fosse, e non lo è perché, per quanto presuntuoso e comunque incerto possa sembrare questo processo alle intenzioni, non è questa la categoria a cui sente di poter appartenere. Volendo giocare, si potrebbe dire che è un po’ come se Lars von Trier e Peter Jackson si fossero divertiti a rifare insieme Il gladiatore. Questo, certo, non significa mica che Eggers mirasse a fare un film soltanto discreto (anzi), ma appare abbastanza chiaro – sempre a detta di chi scrive – che le ambizioni di questo film siano di natura molto diversa rispetto ai due che l’avevano preceduto.

Per esempio, è evidente che The Northman è, a differenza di The Lighthouse, un’esperienza soprattutto sensoriale: il discorso letterario si esaurisce quasi subito, poche sono le sfaccettature che possano essere appiglio a un ragionamento più profondo, i personaggi secondari sono sostanzialmente incolori, e il tutto è a servizio di un’immediatezza che deve esaltare la spettacolarità dell’esperienza visiva ed emotiva. Questa scelta si può anche scegliere di non sposarla, ma il talento che Eggers mostra nella sua resa difficilmente può essere negato.

Sembra allora che sia proprio questo il motivo di un’accoglienza piuttosto tiepida: non ha rispettato le nostre attese perché non è il film che ci aspettavamo da Eggers. Se The Northman fosse stato l’esordio di un regista sconosciuto, probabilmente avrebbe fatto molto meno rumore e sarebbe magari stato accolto con più onestà e preso per quello che è: un revenge movie di buonissima fattura, con molti aspetti convenzionali e una confezione tecnica di ottimo livello (quanto si abusa, oggi, dell’elogio alla regia, a maggior ragione quando si deve muovere una critica a un film [“non mi è piaciuto, però tecnicamente…”], ma Eggers è bravo per davvero, più bravo di molti di cui si premette la bravura). Non si perdona, però, l’incursione nel mainstream all’autore di talento. The Northman allora diventa un film non riuscito perché si è deciso di inserirlo nella categoria del cinema d’autore ed è perciò un film in bilico, a metà – e che non accontenta nessun pubblico, potrebbe aggiungere qualcuno.

In realtà, malgrado l’elevato minutaggio, il film scorre senz’alcun affanno, supportato da una regia che in alcuni momenti si fa persino videoludica (nelle scene più stealth), che sa esaltare gli splendidi paesaggi nordici e intende spettacolarizzare la dimensione ritualistica del mondo vichingo, con episodi a metà tra il sogno e la fantasia scanditi da un montaggio che gioca con la suggestione. The Northman insomma compie un abbassamento del materiale di partenza, lo semplifica fino a stilizzarlo, ed è in questo senso un’operazione inversa a quella di The Lighthouse, che era povero agli occhi per poi crescere nell’elaborazione esegetica a posteriori, mentre questo è un film di eccessi: di personaggi, di sangue, di violenza, di pessimismo (smorzato soltanto nel prefinale), di urla, di morti. Ma non c’è una traduzione di questo eccesso: possiamo forse intendere il viaggio di Amleth come un percorso catartico attraverso cui giungere all’amore («Non mi sono mai sentito vicino a nessuno prima di te», confessa a Olga) dopo aver espulso l’odio della vendetta, ma è inutile spingersi tanto oltre, perché la violenza è violenza e non ha altro significato se non quello di rivelare la natura ferina dell’uomo. La morte e il sangue, proprio come nei giochi gladiatori, sono qui mostrati al pubblico che cerca la crudeltà dello spettacolo e di quella vuole appagarsi.

Si tratta, potremmo dire, di un cinema d’intrattenimento di tipo ibrido, che non intende rinunciare allo stile e che lascia sullo sfondo la possibilità di una riflessione, a seconda dei casi, più o meno ampia ma comunque limitata, che ha una tensione narrativa più o meno costante, uno spessore psicologico ridotto e ritmi più accessibili.

The Northman, anche lo si voglia stroncare, è un buon esempio di questa sottocategoria, a cui si può opporre il recente Dune di Villeneuve proprio perché fa il percorso contrario: parte da un genere di massa (la fantascienza) e gli conferisce una “nobiltà” autoriale, con un ritmo dilatatissimo che rende il film, di fatto, un enorme preambolo. E mentre Villeneuve corre verso l’incoronazione (del tutto immeritata, a parere di chi scrive), Eggers va invece incontro a una svalutazione: forse ci siamo sbagliati su di lui? Il pubblico colto, nell’epoca socialmediatica, ha raggiunto una risonanza tale da confondersi (o sovrapporsi) alla critica certificata. L’impatto che un film ha su di esso è importante almeno quanto quello critico; di sicuro, riesce a fare perfino più rumore. The Northman ha infatti conquistato anche alcuni recensori importanti (Peter Bradshaw sul Guardian, per esempio), eppure si respira aria di delusione (del resto s’intende che non sono mancate le recensioni tiepide pure da parte della critica, come quelle apparse sul New Yorker).

In attesa del quarto, Eggers dovrà dunque incassare il responso del suo primo film mainstream, e non manca chi, con la fretta a sentenziare che si confà al nostro tempo, è pronto a darlo per morto. Se così fosse, qualcuno dovrà vendicarlo: chi scrive è disposto a farsene carico. I will avenge you, Robert!

(The Northman, di Robert Eggers, 2022, azione, 127’)

LA CRITICA - VOTO 7/10

Revenge movie spettacolare e ben confezionato, The Northman avrebbe probabilmente ricevuto un trattamento diverso se non si fosse deciso fin da subito che Eggers è o doveva essere un fuoriclasse.