“Flush” di Virginia Woolf

di / 5 ottobre 2012

“Vampa di pieno rossore.” O “snidare un colore rasente”. Non sono azzardi poetici. Ognuna di queste parole si riversa in un’unica traduzione inglese. Flush (Nottetempo, 2012). Onomatopeico, come un sasso nell’acqua. Un lancio che buca lo stagno. In questo caso Flush, protagonista e titolo del romanzo di Virginia Woolf, è semplicemente il cane di Elizabeth Barrett. Lo spaniel perfetto, il corredo cromosomico pieno di lenzuola fresche. Con la morbida linea del cranio, «gli occhi grandi ma non sporgenti» e l’alchemica espressione in grado di fondere acume e dolcezza.

Quel pelo capace di dorarsi al sole nasce in un giorno imprecisato del 1842 e per i primi tempi alberga nelle immediate vicinanze di Reading, presso un certo dottor Mitford e la sua famiglia. Ma un cane del genere non fa per loro, troppo prestigio per i loro prati, zampe così delicate da non doversi incagliare nelle sedie mal rivestite, in quella vita mal rattoppata. Flush però non può essere venduto, al massimo potrà diventare oggetto di un dono. Un dono doppio. Miss Mitford regala il cucciolo a Miss Barrett, scrittrice debole e incapricciata che parcheggia le sue ore tra i cuscini, a Londra, nell’ agio sbuffante di Wimpole Street, che purtroppo non sa accarezzarla. E Flush viene alla luce una seconda volta, accanto a lei. Perché anche lui riceve qualcosa. Scopre cosa significa avere un padrone e conosce ben presto il prezzo delle relazioni. Che nel suo caso, come in quello di molti altri, si chiama “libertà”. Non c’è più occasione per scorrazzare a piene narici, inalare anche l’aria impossibile, immolarsi alla terra e inseguire gli odori come fagiani. La porta per lui resta chiusa, la stanza sul retro si rivela il suo unico feudo e le uscite sono gocce centellinate, pochi barlumi in carrozza e poi di nuovo subito a casa. Flush impara a sue spese che avere tutto: cibo, profumi, calore, riparo, non vuol dire avere ciò che si desidera.

Un cane di razza “deve” indossare il guinzaglio, contare i suoi passi fino a sentire una stretta alla gola. Non esistono parchi per il suo istinto. Ma rinunciare fa parte del gioco. E la sua “iniziazione” nel mondo reale passa attraverso questa certezza. È in questo perimetro sghembo e mai totalmente compreso che s’incontrano gli spigoli e si apprendono le lezioni più ruvide. Flush cresce come il custode della sua padrona, legge i suoi movimenti, il tremore della mano che verga ogni emozione, in mezzo a un inchiostro che non può capire. Ma che non gli impedisce di fiutare i suoi pensieri. Ama Elizabeth, consuma i suoi avanzi perché il padre non la rimbrotti, ovatta la sua stanchezza, i suoi lunghi minuti emaciati. E si crede esclusivo.

Come crede esclusivo il loro rapporto. Quindi, quando nei mesi tutti piallati e intercambiabili di Miss Barrett e nei suoi tramonti filtrati dal vetro irrompono i guanti gialli di Mr Browning, Flush si sente espropriato, detronizzato senza troppi riguardi. Si sente geloso. E non può accettarlo. Scalcia, morde, si ribella fino a subire la giusta sanzione, il distacco della sua amata. Finché non intuisce che amarla davvero comporta accogliere ciò che lei ama, ciò che davvero ritiene importante. Malgrado si tratti di un terzo incomodo. E poi un quarto. Anche qui perciò arriva un’altra conquista di Flush, in quello che si delinea, con la sapiente sofisticata ironia dell’autrice, quasi un romanzo di “formazione canina”. Un’arguta scanzonata biografia che fa il verso agli umani, amplificandone gli umori e le piccolezze, mostrando quanto anche su due piedi il cielo possa schiacciare lo stesso.

Dopo aver letto le lettere tra Elizabeth Barrett e Robert Browning, la figura di Flush attrae Virginia Woolf a tal punto da indurla a cucirgli intorno un’esistenza. I sensi del cocker sono lo specchio stravagante e aristocratico delle loro lussuose vicende. Ma anche lo scrigno in cui sono protetti, perché ha ragione Romain Gary, scrivendo che «il solo posto al mondo in cui si può incontrare un uomo degno di questo nome è lo sguardo di un cane». 
 

(Virginia Woolf, Flush, trad. di Chiara Valerio, Nottetempo, 2012, pp.184, euro 13)

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