“Di polvere e di altre gioie”
di Giuseppe Truini

di / 1 aprile 2015

Basta un termometro rotto ad avvelenare un lago. Perché un pericolo minuscolo non è un pericolo modesto. Ma a noi basta non vederlo per rassicurarci. E così, impalmati di granelli, portiamo a spasso i nostri nemici. Rintanati tra i capelli, nel presepe di un polmone, siamo pieni di metalli.

Sostanze avverse in microgranuli, succhiate dall’aria, dal cibo che si giura sano, dall’arcipelago ammaestrato dei nostri consumi. Ce li abbiamo addosso. E ci sembra normale. Il campionario inconsapevole di cadmio, piombo e alluminio in crociera permanente sul nostro corpo distrattissimo.

Forse allora, oltre che d’acqua o «della stessa materia di cui sono fatti i sogni» è ancora più vero che siamo fatti di polvere. Lo eravamo e lo saremo. Ma nel frattempo non smettiamo d’esserlo.

Di polvere e di altre gioie (Ensemble, 2015) aggiungerebbe Giuseppe Truini. Perché non tutte sono qui per sabotarci o per farci tossire. E questo romanzo s’impegna parecchio per dimostrarcelo.

Protagonista è Oscar Fiori, assistente specialistico di una bambina disabile, la sua Edera, destinataria prescelta di tutta la storia. Non è un lavoro facile, Edera non parla, non cammina, ha la voce ferrosa di un computer che sonorizza i suoi pensieri e omologa ogni frase con la stessa intonazione. Di catrame binario.

Ma Edera è più del suo microfono e agita altre corde. È un parco sommerso, una girandola di accenti e per Oscar starle vicino è naturale, al punto da non sembrargli un mestiere. Ed evidentemente la pensano così anche alla sua Cooperativa, astenendosi dal retribuirlo da più di un anno. Ma questo dettaglio appartiene più alla cronaca che alla fantasia. La situazione casalinga poi non è delle migliori.

I suoi nipoti Matteo e Silvia sono senza madre, migrata lontano per appassionarsi a lodevoli cause che non contemplino i suoi figli e da quel giorno il primo ha scelto di tacere. Lucia, sorella artista e solitaria, è rimasta incinta ignorandone il motivo.

Non resta che un miracolo, oltre a quello già accaduto a lei, ovviamente.

E l’opportunità piove dalla tv, da un quiz che ricompensa chi indovina ed elettrifica chi sbaglia, senza false accortezze né ricette di facciata. Basta non rispondere e grondano le scosse, mentre un pubblico efferato sbava acclamazione per i suoi circenses. Oscar porta un argomento da tesina liceale, le figure retoriche, sperando che studiare gli procacci la salvezza e ingrassi le sue tasche. Pecca madornale.

Perché, senza saperlo, l’ha combinata grossa. Si è permesso di frapporsi in un gioco minaccioso, molto di più imponente di quella Sedia elettrica. Una penosa serie di omicidi ha estirpato dalle strade parecchie prostitute e tra queste ce n’è una che per Oscar vale più del suo corpo. Inevitabile reagire, impossibile restare incolumi. In questo slalom vorticoso sono in tanti a ondeggiare insieme a lui.

Un canneto farcito di personaggi un po’ fiabeschi: Galatea prima, sindacalista novantenne partigiana capace ancora di assestare colpi persuasivi; Galatea seconda, nipote combattiva innamorata del suo persecutore-poliziotto; Basettoni, commissario stazzonato offerto al suo dovere; Gea, ballerina ipnotica prigioniera di un passato indicibile; Silvia, innocenza veggente, rabdomante di purezza. È lei che conia soprannomi, che ne ha uno per chiunque. È lei che sa leggere la polvere, quella che rivela opacità e grandezze.

Perché appunto, come sostiene Edera «la polvere è leggera, senza peso, si poggia senza far rumore e non dà fastidio. Ti rimprovera quando non fai quel che devi, perché si forma sulle cose che non usi. La polvere segna il passare del tempo. Accompagna, ma non rimane a guardare».

Un po’ come fa questo romanzo. Lieve, ma non evanescente. Rocambolescamente ingenuo, favola amara dove la città è innominata, i cattivi sono perfidi senza pertugi né ricambi di corrente e il protagonista è un buono assoluto, un candido abbagliante sdegnato dal male, di fronte a cui si arrenderebbe ogni varecchina. La sua rabbia spunta solo quando è doveroso e non punge nessuno se non se stesso, quando arriva la Struzzo, creatura totemica del suo disagio. Oscar sopporta il dolore, colloquia con la Madonna. Oscar è comprensivo, accogliente, altruista, immacolato. Forse troppo. Forse con qualche spigolo addosso sarebbe stato più simpatico, oltre che più immaginabile.

Trama ben orchestrata, che sarebbe dannoso anticipare di più, linguaggio puntuale e delicato, affetto qua e là da eruzioni di buonismo. Luminose le pagine dedicate a Edera, alla sua sete d’ossigeno e di parole. Sarebbe stato bello assaggiarne ancora.

È in queste che Truini veicola il meglio, la trasparenza fatata della sua polvere. La stessa che secondo John Fante possiede le risposte, che custodisce i sudori sgualciti, le impronte spellate.

E che qui, nella finestra pulita di questa storia, può suggerircene alcune.

(Giuseppe Truini, Di polvere e di altre gioie, Ensemble, 2015, pp. 314, euro 12)

  • condividi:

LA CRITICA

Narrativa sospesa tra il romanzo e la favola per raccontare l’assurdo di ogni avidità, mediatica e umana. Con ironia, leggerezza e una scorta di buone intenzioni.

VOTO

7/10

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio