“Dunkirk”
di Christopher Nolan

La guerra secondo uno dei più grandi registi del cinema

di / 8 settembre 2017

Poster italiano di Dunkirk su Flanerí

Christopher Nolan è, ormai da una decina di anni  almeno, il regista di cui più si attende un nuovo film. Interstellar, tre anni fa, aveva catalizzato l’attenzione di critica e pubblico mesi prima della sua uscita. Questo ultimo lavoro, Dunkirk, è stato oggetto di attenzione incessante e di strategie di marketing impensabili per un film d’autore (come di fatto è). Tra infinite dirette su Facebook e curiosità sul coinvolgimento dell’ex One Direction Harry Stiles – per dire le cose su cui si è concentrata la stampa –, Dunkirk ha fatto capire sin dalle prime visioni che si sarebbe imposto come nuovo punto di riferimento per il cinema. Non per il cinema di guerra, genere a cui tecnicamente appartiene, ma per tutto il cinema.

Succede con i grandi autori: non è importante quello che fanno (guerra, fantascienza, cinecomic), ma come lo fanno. E Nolan, confrontandosi per la prima volta nella sua carriera con la realtà della storia, dimostra ancora di più la sua grandezza assoluta.

Nel maggio del 1940, 400.000 soldati dell’esercito britannico rimasero prigionieri sulla spiaggia di Dunkerque, nel nord della Francia, circondati dall’avanzata delle forze naziste. Mentre i tedeschi attaccavano con tutti i loro mezzi, a Londra veniva organizzata l’operazione Dynamo, un piano di evacuazione che coinvolgeva anche imbarcazioni civili. Sulla spiaggia il giovane soldato Tommy cerca con ogni mezzo di ottenere un posto su un’imbarcazione. Dalle coste inglesi, Mr. Dawson parte con suo figlio e il suo peschereccio per aiutare i soldati prigionieri. In cielo, il pilota Farrier cerca di fermare i bombardieri nazisti.

È sempre grande cinema, quello di Christopher Nolan. Elegante, complesso, colto – manierato, cervellotico, autoreferenziale, per i detrattori – e allo stesso tempo spettacolare. La filmografia del regista inglese centra sempre l’incrocio tra intrattenimento e cinema d’autore, tra blockbuster e film concettuale.

Nel ricostruire una delle ritirate più sofferte della storia dell’umanità, Nolan declina in una forma nuova il suo cinema. Sorretto, nelle sue produzioni precedenti, da copioni grondanti considerazioni su grandi temi dell’uomo, il regista inglese sceglie per Dunkirk un approccio nuovo, basato su un copione di partenza minimale (meno di un centinaio di pagine, ma l’intenzione era quella di iniziare le riprese senza alcun testo scritto). Al centro di tutto ci sono gli uomini, i loro corpi, la loro paura, la fatica.

Ci sono tre trame in Dunkirk, ognuna collegata a una specifica unità spaziale – il molo, il mare, il cielo – e scandita da un andamento temporale diverso – una settimana, un giorno, un’ora. Insistendo sul tema della relatività del tempo, che in Interstellar si era fuso tra astrofisica e filosofia, Nolan dilata i tempi dell’azione per poi restringerli, generando un senso costante di attesa dell’inevitabile. Non si vuole qui entrare nel merito del discorso sul formato della fruizione, ma su qualsiasi schermo si veda un film come Dunkirk si percepisce immediata la potenza tecnica di un’opera probabilmente inarrivabile. Ogni elemento concorre a creare una situazione immersiva per lo spettatore. E se la grandezza del cielo e del mare, così come la claustrofobica immensità della spiaggia, sono catturate dalla fotografia livida di Hoyte Van Hoytema, è soprattutto il lavoro sul sonoro che aggiunge una struttura di inarrivabile grandezza. Nolan e il compositore Hans Zimmer hanno lavorato insieme per creare una commistione continua tra suono e rumore come trama che regge l’immagine. Il ticchettio di un orologio, un battito cardiaco, uno sparo, diventano musica e scandiscono il tempo sullo schermo.

E inseguiti dal tempo, i soldati inglesi corrono per salvarsi e per salvare. È un film umanista, Dunkirk, che inquadra l’umanità disperata in un momento di guerra in cui ruoli tradizionali del genere scompaiono. I civili salgono sulle navi per soccorrere chi li ha difesi fino a quel momento. I soldati tornano figli, pronti ad affidarsi a chi può aiutarli. Non ci sono eroi, solo esseri umani. Non c’è eroismo individuale, ma collettivo. Sembrerebbe quasi un film patriottico, se ci fosse un qualche riferimento esplicito al concetto di patria. Nolan rifiuta ogni elemento tipico della retorica cinematografica. Non insiste sul pathos dei sentimenti, non concede nulla allo spettacolo dell’azione. La guerra è una cosa cruda e sporca, come la paura, come la disperazione. Ma Dunkirk non è Salvate il soldato Ryan. Non c’è una casa a cui voler tornare, non c’è una madre che aspetta l’ultimo figlio. C’è solo il momento, un eterno presente di una settimana, un giorno, un’ora, su cui si costruisce un infinito fatto di momenti.

(Dunkirk, di Christopher Nolan, 2017, guerra, 106’)

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LA CRITICA

Un capolavoro tecnico, un capolavoro visivo, un capolavoro e basta.

VOTO

9/10

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